18 Giugno 2023 - 11:45:12

di Tommaso Cotellessa

Nel pomeriggio di ieri Nello Avellani è stato eletto segretario del Partito Democratico aquilano all’interno al termine della settimana congressuale che ha visto mobilitare l’intera comunità democratica. La mozione di Avellani, votata all’unanimità, ha l’ambizione di aprire una nuova fase per i Dem.

Vi proponiamo in versione integrale il documento presentato dal neosegretario:

INSIEME… PER L’AQUILA DI DOMANI!


Insieme, o non saremo!

Abbiamo un compito importante, che non è soltanto quello di eleggere un segretario ma, innanzitutto, di scrivere insieme una storia nuova. Di riscoprirci comunità politica che vuole essere intelligenza collettiva, sanando le fratture che si sono prodotte in questi anni.
Il Partito Democratico nasce dall’incontro di una pluralità di culture del riformismo italiano, e da una pluralità di esperienze politiche maturate sui territori: salvaguardare questo pluralismo è la sfida che dobbiamo vincere, a livello nazionale e locale, senza rinunciare, però, ad una linea politica chiara, coerente e che sia comprensibile alle persone.
Per costruire un’alternativa alla destra che governa la città dell’Aquila, così come la Regione Abruzzo e il Paese, bisogna avere il coraggio di assumere scelte e visioni radicali, che non significa radicalismo ma radicalità, nell’opposizione alle politiche che quotidianamente la destra impone alla comunità e nella proposta di una visione di futuro altra, capace di parlare di lavoro stabile e ben retribuito, precondizione per uno sviluppo sostenibile dei territori, di migliore qualità della vita per tutte e tutti, di tutela dei diritti sociali e civili, di cura dell’ambiente.

L’Aquila, in questi anni, è diventata un laboratorio politico per la destra italiana: qui, nel 2017, è stato eletto il primo sindaco di un capoluogo di Regione espressione di Fratelli d’Italia, sebbene ‘pescato’ tra le file di Casapound; all’Aquila si è concepito il percorso politico che ha permesso al partito di Giorgia Meloni di prendersi anche l’Emiciclo, con l’elezione del primo Presidente di Regione esponente di un movimento che porta ancora oggi, nel simbolo, la fiamma tricolore. Dall’Aquila è partita la scalata di Fratelli d’Italia al governo del paese, con l’annunciata Presidente del Consiglio che ha scelto proprio il nostro collegio, simbolicamente, per farsi eleggere in Parlamento.
In questi anni, Fratelli d’Italia ha governato la città – e la Regione – occupando forzatamente ogni posto di potere, con un brutale esercizio di solipsismo politico che sta diventando la cifra del governo sovranista. Non si tratta di lottizzazione, non parliamo – non soltanto, almeno – di selezione della classe dirigente mediante spoils system né del conferimento di incarichi a ‘cerchi magici’ che, in alcuni casi, sfociano nella sfrontatezza di assunzioni e nomine persino parentali: stiamo assistendo al tentativo di costruzione, da zero, di un’egemonia culturale e politica che sta investendo l’intero apparato burocratico, il mondo della cultura e dell’associazionismo, sportivo e non, fino ai vertici delle aziende pubbliche e partecipate. E quel che è peggio, questa operazione politica passa, anche, dal tentativo di mistificare la nostra storia comune, di piegarla ad interessi di parte: così, la Festa dei Lavoratori diventa Festa del Lavoro, la Festa della Liberazione viene raccontata come una generica Festa della Libertà dai totalitarismi, il Ministero dell’Istruzione diventa del Merito, si torna a parlare di razze e di etnie, s’inventa persino il Liceo del Made in Italy.
Più in generale, stiamo assistendo alla compressione degli spazi democratici e di informazione, ad una diffusa insofferenza ai controlli delle autorità competenti, a preoccupanti discriminazioni sui diritti. Sta accadendo in Italia, è già accaduto all’Aquila, soffocata oramai da una cappa di paura, nella morsa di un ricatto strisciante e continuo che ha trovato terreno fertile in una città che ha assistito, inerme e indifferente, alla contrazione degli spazi del dibattito e del confronto pubblico, a scelte amministrative discriminanti, allo smantellamento sistematico dei luoghi della partecipazione. Ecco perché all’Aquila, più che altrove, il Partito Democratico deve sentire la responsabilità di proporre un’alternativa alle cittadine e ai cittadini: dal 2017 ad oggi, non siamo stati in grado di farlo; si è rotta, così, la connessione sentimentale con chi vorremmo e dovremmo rappresentare.
Il documento congressuale ‘Open’ con cui, un anno fa, veniva rieletta segretaria cittadina Emanuela Di Giovambattista, interrogava il mondo progressista con una domanda che riteniamo, ancora oggi, centrale: “può ancora essere utile il Pd per L’Aquila? C’è ancora bisogno di organizzare il Pd nella nostra città territorio?”.
Sì, è la risposta che ci siamo dati. Prendendone coscienza, ragionando sugli errori commessi, sulla progressiva chiusura del partito su sé stesso, sulle occasioni mancate di confronto con la città, è stato avviato un percorso costituente di apertura e di rinnovamento, antesignano rispetto alle scelte che il Partito democratico avrebbe assunto a livello nazionale dopo le elezioni politiche del 25 settembre scorso. Un percorso che, in questi mesi, ha provato a ricostruire un ponte tra le energie che ci sono già dentro il Pd e quelle che, in questi anni, si sono mobilitate fuori dalla politica partitica, spesso non trovando canali di dialogo e di condivisione delle battaglie comuni. Lo si è fatto animando ‘tavoli di lavoro’ che hanno provato a coinvolgere le migliori intelligenze della città, con la convinzione che il Pd dell’Aquila dovesse rimettersi all’ascolto, con umiltà, di ciò che si muove nel territorio, rompendo la sua autoreferenzialità per riallacciare i fili con chi non si sentiva più rappresentato dal nostro partito; lo si è fatto anche stimolando la società civile, con la consapevolezza che, oggi, le piazze non bastano più se non trovano sponda con la rappresentanza, per fare entrare le giuste istanze nei luoghi in cui si prendono le decisioni. È un percorso difficile, appena iniziato, lontano dall’essere compiuto. Ma è l’unica via possibile, e che dovremo perseguire con ancora maggiore forza e passione nei prossimi anni. Insieme, o non saremo!

Insieme, o non faremo!

Per restituire centralità al Pd dell’Aquila, per fare in modo che possa essere davvero protagonista di una nuova stagione di alleanze, ‘costruttore’ di una coalizione politica larga con le forze progressiste della città, riferimento credibile per associazioni e movimenti civici, è necessario ridefinire l’identità del nostro partito.
Identità che passa, anche, da una profonda riorganizzazione, dalla ridefinizione formale del nostro stare nel dibattito cittadino: non riusciremo ad aprirci davvero a chi, ancora oggi, guarda a noi con speranza ma pure con una legittima diffidenza, se non saremo in grado di cambiare le forme organizzative e i processi interni di discussione e decisione, di rinnovare il metodo con cui stiamo insieme in questa comunità politica ricostruendo un partito strutturato, organizzato, presente e riconoscibile.

Un partito collettivo, che venga prima delle individualità che è capace di esprimere. Il Pd è l’ultimo partito di massa rimasto, l’unico non legato al nome di un leader, non strutturato intorno alla figura di un ‘capo’ che decide in autonomia: noi siamo altro, nel nostro simbolo c’è la parola ‘Democratico’ che ci impone coerenza, attivando processi decisionali che siano collettivi, aperti e trasparenti.
In una famosa intervista a Eugenio Scalfari del 1981, Enrico Berlinguer, sollevando la ‘questione morale’, si scagliò contro i partiti dell’epoca definendo il ruolo che avrebbero dovuto svolgere, e non svolgevano:

“I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni”, le parole di Berlinguer.

Questo è il ruolo dei partiti che, negli anni, sono stati formidabili strumenti di partecipazione comunitaria, di formazione alla politica, di costruzione di universi valoriali condivisi, di emancipazione sociale e culturale delle masse. Sono passati decenni, da allora, ma oggi dovremmo nutrirci dell’ambizione di riavvicinarci a quella concezione di partito.
A partire da noi, facendo sì che il Pd dell’Aquila si ponga come strumento di partecipazione funzionale alle esigenze di cittadine e cittadini, tornando sui territori, nelle frazioni, nei quartieri,
nei luoghi di lavoro, confrontandosi con la città e discutendo, organizzando momenti di ascolto, facendo sì che il partito possa essere pensato davvero come un luogo di emancipazione e di costruzione dell’idea della città che vogliamo, da qui a trent’anni. Di qui, la necessità di restituire protagonismo all’Assemblea delle iscritte e degli iscritti, che sarà convocata periodicamente – almeno una volta ogni tre mesi – come luogo di elaborazione politica collettiva, così che tutte e tutti possano partecipare attivamente e animare la discussione interna. All’Assemblea delle iscritte e degli iscritti potranno partecipare, sebbene senza diritto di voto, tutte le cittadine e i cittadini non iscritti interessati. L’Assemblea dovrà elaborare le indicazioni politiche e strategiche del Partito; sarà il “luogo” di incontro, discussione e condivisione, e sarà convocata anche in luoghi ‘altri’ rispetto a quelli canonici (piazze all’aperto, circoli del territorio, sedi di associazioni) per rendere le riunioni, quando si riterrà, momenti di ascolto e confronto su temi specifici. L’indirizzo politico, la declinazione in azioni delle indicazioni dell’Assemblea, sarà responsabilità di un Coordinamento, una vera e propria Direzione Cittadina, organo che sarà eletto dall’Assemblea su proposta del Segretario tenendo conto della necessità di rappresentare compiutamente le diverse sensibilità del Partito.
Saranno membri di diritto gli iscritti eletti a tutti i livelli istituzionali (Consiglieri comunali, Consiglieri regionali, Deputati e Senatori, etc.), i componenti delle Assemblee PD di livello superiore (Assemblea Nazionale, Direzione Nazionale, Segreteria Nazionale), la portavoce delle Donne Democratiche, il Segretario dei Giovani Democratici, i segretari dei circoli dell’Unione. Il Coordinamento verrà convocato almeno una volta al mese. Oltre che collettivo, il Partito dovrà essere trasparente, come detto: al termine delle riunioni dell’Assemblea e del Coordinamento verrà prodotto un verbale, che rimarrà a disposizione delle iscritte e degli iscritti.
Nel suo lavoro e per l’attuazione delle indicazioni di Assemblea e Coordinamento, il Segretario sarà supportato da una Segreteria, di nomina fiduciaria, un organismo snello e flessibile, che tradurrà in scelte politiche quotidiane la linea politica del Partito; in questo senso, saranno assegnate deleghe specifiche relative a:

  • coordinamento della Segreteria;
  • comunicazione;
  • attività istituzionale;
  • rapporti con il territorio (circoli dell’Unione, circoli del territorio, sindaci e amministratori
    locali)
    ;
  • rapporti con l’associazionismo e il terzo settore;
  • coordinamento dei Tavoli di Lavoro tematici.

Della segreteria faranno parte, ovviamente, anche il Presidente dell’Assemblea e il Tesoriere, cui sarà demandata la redazione di un Regolamento finanziario che verrà portato al voto assembleare.
I Tavoli di Lavoro tematici, un vero e proprio ‘esecutivo tematico’, affidati a personalità di comprovata esperienza, iscritti al partito e non, dovranno fare da ‘cerniera’ tra il partito e la società civile, ridefinendo una comunità politica allargata, oltre la semplice tessera, che dovrà farsi intelligenza collettiva; dovranno continuare a lavorare su ambiti specifici (politiche territoriali, politiche sociali, lavoro, diritti, transizione ecologica, transizione digitale, sanità, turismo e cultura, sport) trasformando il senso stesso della costituente nella postura che il partito dovrà adottare nei prossimi anni.
L’obiettivo è che i tavoli possano aiutare il partito a ricostruire una cultura politica condivisa, così da permettere al PD di definire, insieme ad associazioni, movimenti e alle altre forze politiche civiche e progressiste, una proposta politica alternativa a quella della destra, che sia considerata credibile e concreta dalle elettrici e dagli elettori. Un tema centrale nell’organizzazione del Partito sarà il rapporto con le iscritte e gli iscritti eletti
negli organi istituzionali a qualsiasi livello (Consiglio Comunale, Consiglio Regionale, etc.); gli eletti saranno portavoce delle indicazioni dell’Assemblea negli organismi dove sono presenti, e il Partito sarà a disposizione degli eletti per supportarli nelle iniziative politiche. Il Partito, essendo collettivo e partecipato, discuterà e condividerà anche le decisioni per la scelta dei suoi rappresentanti negli organi istituzionali a qualsiasi livello (Consiglio Comunale, Consiglio Regionale, etc.), con l’idea che debbano essere espressione condivisa di una comunità; per questo motivo, le candidature di iscritte e iscritti del Partito Democratico dell’Aquila negli organi istituzionali a qualsiasi livello (Consiglio Comunale, Consiglio Regionale, etc.) saranno discusse in Assemblea.
I militanti e le militanti hanno eguali diritti: si eviterà, dunque, la concentrazione di troppe cariche nelle stesse persone, distribuendo le responsabilità tra le iscritte e gli iscritti.

Insieme, per scrivere il futuro!

Il Partito democratico – a livello locale, così come accaduto a livello nazionale – non ha perso le elezioni da solo. Eppure, siamo l’unica forza politica che ha avuto il coraggio di rimettersi in discussione aprendosi ad una discussione, non facile e nient’affatto scontata, con la città. Lo facciamo per noi, certo, ma lo facciamo per l’intero campo progressista che, speriamo, possa camminare al nostro fianco tirando una linea rispetto agli errori commessi in passato, e che sono errori collettivi, per ridefinire un campo largo dei progressisti che possa essere una ‘casa comune’ abitabile da tutte e tutti.
Dobbiamo avere, tutte e tutti, l’umiltà di riconoscere gli errori commessi; se non lo faremo noi, insieme, saranno le elettrici e gli elettori a continuare a farlo.
Dobbiamo sentire, tutte e tutti, la responsabilità di offrire un’alternativa. In questo senso, i Tavoli di Lavoro sono un luogo di partecipazione che mettiamo a disposizione di chiunque vorrà affollarli, riempirli di contenuti anche se non ha intenzione di iscriversi al partito, preferendo magari un profilo civico o l’adesione ad altre forze progressiste. Sono luoghi che vogliamo aperti alla cittadinanza, alle parti sociali così come al mondo associativo laico e cattolico, ai saperi del terzo settore e del mondo scientifico e accademico, di cui L’Aquila può fare vanto in Italia, ai movimenti ecologisti e femministi che, in questi anni, sono stati particolarmente attivi.
Costruire un’alternativa significa definire un’idea di città, e di territorio, che guardi oltre le contingenze del momento e sia in grado di ispirare un progetto pianificato di sviluppo di qui ai prossimi trent’anni.
È su questo che dovremo sfidare l’attuale governo di destra che un’idea di città, semplicemente, non ce l’ha.
A sei anni dall’insediamento, l’amministrazione comunale di destra ha fallito l’obiettivo di restituire alla città una pianificazione urbanistica compiuta: oggi L’Aquila è una città sconnessa, un corpaccione informe spalmato su un territorio vastissimo; assicurare servizi pubblici adeguati, si pensi alla raccolta dei rifiuti o al trasporto pubblico locale, pure a fronte di una tassazione tra le più alte d’Italia, è praticamente impossibile. Lungi dall’aver individuato una vocazione per ogni centro storico di frazione, così come era stato promesso in campagna elettorale nel 2017, le nostre frazioni, oggi, vivono in stato di completo abbandono, prive di servizi, di funzioni, di luoghi di socialità.
In una città ‘attraversata’ da un flusso economico straordinario, sta tramontando l’idea di ridisegnare e ripensare gli spazi pubblici urbani; chiusi in un cassetto il masterplan di viale della Croce Rossa, di San Basilio, di Sassa con la realizzazione della nuova scuola e della viabilità a servizio, dimenticato il progetto di parco urbano a piazza d’Armi, abbandonata l’idea di operare sulle così dette aree brevi, resta ancora da scrivere il destino dei 19 quartieri del progetto CASE, con le palazzine non manutenute – alcune in stato di vero e proprio abbandono – che rischiano di diventare una zavorra insostenibile per il bilancio comunale.
Si è abdicato anche all’idea di rendere L’Aquila una ‘città intelligente’, a partire dall’incomprensibile abbandono della più imponente opera pubblica progettata nel post terremoto, i sottoservizi, finanziati con 80 milioni di euro circa, con l’attuale amministrazione che aveva ereditato un primo lotto di lavoro quasi completato e contratti sottoscritti per i lotti restanti.
Per non parlare della mancata ricostruzione delle scuole, il vero ‘buco nero’ di questi anni, con soltanto due edifici inaugurati e, per giunta, avviati dall’amministrazione Cialente, sebbene fosse in cassa una dotazione economica di oltre 40 milioni e siano state introdotte, negli anni, misure volte a semplificare le procedure burocratiche.
Ad oggi, l’amministrazione non ha ancora un’idea chiara e definita per il rilancio del comprensorio del Gran Sasso, e di nuovo i soldi in cassa ci sono; ad oggi, si fa fatica ad immaginare una vocazione credibile per il centro storico cittadino, che sta diventando, pericolosamente, la ‘quinta’ di grandi eventi che, pur avendo il merito di restituire vitalità, non stimolano la presenza quotidiana dei cittadini, l’unico antidoto alla trasformazione di quello che era il cuore pulsante della città territorio in una magnifica scenografia teatrale che si accende soltanto per uno spettacolo e resta buia dopo. Presenza quotidiana significa, e pare persino banale a dirsi, residenzialità; il centro storico va reso un luogo desiderabile dove vivere, e ciò passa, senza dubbio, dalla diffusa pedonalizzazione che va accompagnata, però, da scelte strategiche chiare, a partire dalla pianificazione dei parcheggi di prossimità (e qui il ritardo è diventato, oramai, colpevole), dalla
definizione degli uffici pubblici da riportare in centro – sulla pianificazione della ricostruzione della sede comunale, col ridisegno delle funzioni su altre polarità siamo ancora all’anno zero, sebbene vi siano 35 milioni in cassa – che possano fare da volano anche per le attività commerciali. Sono soltanto alcune delle questioni che andranno affrontate nei prossimi mesi e che ci richiamano, però – come detto – all’urgenza di mettere in campo un progetto strategico capace di sguardo lungo, che rompa la narrazione tossica di un ‘eterno presente’ a cui l’incapacità pianificatoria dell’attuale amministrazione vorrebbe inchiodarci.
Ad ogni palazzo restaurato e restituito alla città, ad ogni cantiere che apre o che si chiude, ad ogni iniziativa culturale, subiamo il racconto dell’Aquila che riparte, in una sorta di coazione a ripetere post traumatica alimentata da una pervasiva comunicazione propagandistica: quante volte l’abbiamo sentito dire?
L’Aquila riparte, ci viene raccontato, qui ed ora, in un eterno presente che ha lo sguardo rivolto al passato più che al futuro; non è un caso che la retorica della rinascita si agganci, troppo spesso, a immagini evocative di un tempo che fu. L’Aquila riparte, ogni volta; per andare dove? Questo dovremmo iniziare a chiederci. Il nostro territorio è al centro di una doppia frattura che sta soffocando il sistema Paese: la prima, mai risolta, tra Nord e Sud, con la provincia dell’Aquila che, di fatto, è cerniera tra regioni sempre più diseguali in termini di crescita e sviluppo; la seconda, più pronunciata di anno in anno, tra aree metropolitane e aree interne, che raccontano di un drammatico spopolamento e di una riduzione inesorabile dei servizi, in un vortice vizioso che pare inarrestabile. È vero, L’Aquila ha mantenuto il numero di residenti che aveva prima del terremoto e non era affatto scontato; è vero anche, però, che l’ha fatto attraendo abitanti dai comuni del circondario che si sono velocemente svuotati. Si tratta di una dinamica assolutamente peculiare, che non trova raffronti altrove. E che mina alla radice il ruolo stesso che la città capoluogo di Regione ha svolto in passato, sin dalla fondazione, come centro aggregativo a servizio di un’area vasta.
Non è un caso che, da anni, la nostra provincia – e l’aquilano, in particolare – risulti tra quelle più colpite da spopolamento: si è passati dai 290.811 residenti del 1° gennaio 2021, ai 287.151 del 1° gennaio 2023. In due anni, abbiamo perso 2.500 abitanti.
La gravità dell’emergenza demografica e sociale si evince anche dal numero di pensionati che, nel nostro territorio, sono più dei lavoratori; ogni cinque anziani in pensione, infatti, sono solo quattro le persone che creano reddito. In provincia, il rapporto è di uno a 0.8, come denunciano le elaborazioni dei dati Inps e Istat: nessuno altro territorio ha numeri del genere nel centro sud Italia. E intanto, nessuno si domanda che cosa accadrà quando si concluderanno i processi di ricostruzione, di quale economia vivrà il territorio, che opportunità potranno avere le giovani generazioni che, già oggi, emigrano altrove.
Nessuno si domanda che cosa hanno lasciato sul territorio i miliardi di euro piovuti sul territorio, ed in particolare il 4% dei fondi dedicati allo sviluppo economico, se è vero che, da un lato, non si è ‘prodotto’ lavoro di qualità e, dall’altro, si è allargata la forbice delle disuguaglianze, con una gigantesca questione sociale che si sta aprendo in città col rischio che possa acuirsi nei prossimi mesi. Ci sono circa 5 mila aquilani in stato di indigenza, stando ai dati diffusi, negli anni, dagli uffici delle politiche sociali.
Se si aggiunge che L’Aquila soffre, storicamente, di una insufficiente rete infrastrutturale, viaria e su ferro, e che l’azienda sanitaria provinciale deve sopportare una cattiva gestione fatta di mancati investimenti, tagli ai servizi, confusione amministrativa, si comprende appieno l’urgenza di un piano strategico di territorio che definisca la vocazione che la città vuole darsi, in un’ottica necessariamente di area vasta, i settori su cui investire, con il ritorno atteso in termini economici e sociali, le infrastrutture di cui dotarsi.
Temi di cui si è smesso di parlare. E proprio in questi anni cruciali, in cui sarebbe invece urgente aprire una grande questione nazionale, così come si fece, nel post terremoto, allorquando venne redatto il così detto ‘piano OCSE’ che, oggi, andrebbe misurato nei risultati ottenuti e negli obiettivi falliti per poi essere riscritto, in modo aperto e partecipato.
Dobbiamo essere noi a farlo! Ora o mai più, verrebbe da dire: nei prossimi anni, infatti, L’Aquila e il cratere 2009 potranno ancora beneficiare di un flusso economico straordinario; i fondi per la ricostruzione, innanzitutto, con i 2 miliardi e 750 milioni stanziati dal governo giallorosso nel 2020. Ci sono poi le risorse del PNRR, col fondo complementare da 1 miliardo e 800 milioni, l’unica misura verticale del piano nazionale di ripresa e resilienza, prevista, cioè, per un territorio specifico, i crateri 2009 e 2016. E vanno aggiunti, ancora, il 4% dei fondi a valere sull’ultimo stanziamento per la ricostruzione: 110 milioni di euro, destinati allo sviluppo economico e sociale, su cui andrà elaborato un nuovo programma Restart, cui si sommano gli oltre 40 milioni non ancora destinati dalla passata programmazione.
Ma il silenzio, su questo, è assordante. Parliamo di risorse ingentissime per un territorio così circoscritto; risorse garantite da questo partito, con le altre forze progressiste, che mai si è sottratto alla sfida storica di restituire futuro al cratere dopo la tragedia del 2009. È stato il Pd a mettere in campo lo strumento del 4%; è stato il Pd, con l’allora governo Renzi, a garantire lo stanziamento di oltre 5 miliardi che ha permesso di avviare la ricostruzione pesante; c’era il Pd, al governo, quando l’esecutivo ‘giallorosso’ ha stanziato ulteriori risorse. Lo stesso governo che, in Europa, ha aperto la strada al Recovery Plan, e al Piano nazionale di ripresa e resilienza che ne è scaturito, con l’opposizione di Fratelli d’Italia che, oggi, con quelle risorse sta finanziando in città interventi ordinari, quasi si trattasse di un bancomat cui attingere, utili alla propaganda del momento – e a coprire l’incapacità amministrativa – ma fuori dalle traiettorie che avrebbero dovuto determinare, di sviluppo del territorio con progetti di largo respiro capaci di dare risposte economiche e sociali.
È tempo che la nostra comunità rivendichi con forza il lavoro fatto in questi anni; è tempo che la nostra comunità riacquisisca centralità nel processo storico di ricostruzione e rilancio del territorio; è tempo che la nostra comunità riassuma, su di sé, la responsabilità di guidarlo, questo processo, sfruttando le esperienze acquisite negli anni e aprendosi generosamente a nuove intelligenze, a nuovi pensieri critici, a nuove prospettive.

Insieme, lo abbiamo già fatto.
Insieme, dobbiamo farlo ancora.

Nello Avellani