08 Gennaio 2024 - 11:02:57

di Redazione

“L’ex ospedale psichiatrico di Collemaggio costituisce un patrimonio culturale materiale e
immateriale, dato che non è solo uno spazio con edifici e giardini ma anche un luogo di memorie
storiche da riscoprire, conservare e valorizzare. La presenza di verde, la sua vicinanza al centro
storico lo rendono prezioso per i cittadini, e le scelte di nuove funzioni per questo luogo, nel
rispetto del patrimonio culturale materiale e immateriale da preservare, dovrebbero avvalersi di
un’ampia riflessione della città per soluzioni che siano il più possibile condivise”.

Lo scrive in una nota Maria Rita Acone presidente Archeoclub d’Italia – Sede L’Aquila che ripercorre la storia del complesso a partire dal 13 maggio 1978, quando fu promulgata la legge n. 180, detta anche legge Basaglia, che rivoluzionava i princìpi del trattamento dei pazienti psichiatrici, in particolare riconoscendo anche a questi malati la libertà delle cure. La legge comportò la chiusura dei manicomi e la completa riorganizzazione dell’assistenza psichiatrica; questo processo non fu certo di breve durata e si
concluse alla fine degli anni ’90 del ’900.

“Nelle province italiane i Manicomi, privi ormai di pazienti, hanno avuto fino ad oggi storie diverse – racconta – riuso a fini assistenziali o sociali, abbandono, cambiamento di funzioni e – in alcuni casi – demolizione delle strutture. Studi di storia della medicina e sociali hanno sottolineato l’importanza che nella seconda metà dell’’800 e prima parte del ’900 ha avuto la costruzione in Europa e in Italia dei manicomi per i folli. In Italia la svolta si realizzò con la legge n. 36 del 14 febbraio 1904 ‘Disposizioni sui Manicomi e sugli Alienati’ che tendeva a correggere le condizioni disumane in cui i malati psichiatrici si trovavano nelle strutture di ricovero dell’epoca. Non è questa la sede per un approfondimento di tali tematiche ma è importante dare qualche informazione sia sulle premesse storiche, sia sulla costruzione del manicomio aquilano, per l’importanza che oggi il complesso può acquisire nell’ambito di un recupero degli spazi cittadini”.
“Tornando ai primi anni del ’900 si può evidenziare come da un’esigenza nata in quell’epoca, non
solo di internare ma anche curare i cosiddetti folli (e qui si dovrebbe aprire un capitolo della storia
della medicina), nasca la necessità di adattare strutture esistenti o, nella maggior parte dei casi, di
costruire ex novo delle vere e proprie micro-città per accogliere i folli nelle loro diverse accezioni -prosegue – Le strutture architettoniche, a volte pensate da architetti di fama, furono progettate con la
collaborazione di psichiatri che, in mancanza all’epoca di terapie mediche specifiche, vedevano un
elemento di cura anche nell’ambiente in cui si inserivano tali malati e quindi la necessità del verde,
di giardini, di buona aria e tranquillità, e la possibilità di utilizzare per la terapia anche il lavoro; da
qui la presenza di laboratori e colonie agricole che venivano a far parte integrante di queste
cittadelle dei malati di mente. I complessi architettonici, nati in moltissime città italiane, sono stati oggetto di uno specifico programma di ricerca promosso nel 2008 (PRIN 2008) che ha raccolto la storia di molti manicomi italiani ai fini della conoscenza e della valorizzazione ( www.spazidellafollia.eu ).
Si è ritenuto infatti rilevante censire e studiare questi complessi per la loro importanza nella storia
sociale, per la necessità di un loro recupero dopo la dismissione determinata dalla predetta legge
n. 180 del 1978 e per l’eventuale definizione di vincoli finalizzati alla loro tutela e valorizzazione,
considerato che generalmente si trovano nei pressi delle città e sono inseriti in ambienti di pregio”.

Il nostro ex manicomio di Collemaggio si colloca perfettamente in questo discorso generale sia per
l’ambientazione, sia per il progetto che risale ai primi anni del ’900, sia per il valore che l’area e le
strutture hanno avuto e hanno per la città, oggi più che mai – afferma – In base alla documentazione conservata presso l’Archivio di Stato dell’Aquila, si rileva che l’ospedale psichiatrico fu costruito su terreni di proprietà Castelli-Cito estesi per circa 9 ettari utilizzati a seminativo e vigna. In realtà inizialmente, con una delibera del dicembre 1902, il Consiglio provinciale aveva individuato per la costruzione del nuovo manicomio l’area opposta di proprietà Petrini con l’intento di utilizzare alcuni fabbricati già esistenti per il ricovero dei folli e l’ospizio dei mendicanti. A giugno del 1903 per una serie di motivazioni, e in base soprattutto alla relazione di un eminente psichiatra, si deliberò di spostare il manicomio sul terreno di proprietà Castelli-Cito ritenuto più idoneo per una struttura di maggiori dimensioni che avrebbe dovuto
ospitare fino a 420 folli dell’intera provincia. La pianta del progetto ci mostra poi come il
manicomio aquilano fu adeguato alla concezione di cittadella con padiglioni simmetrici, presenza
di strade e servizi”.

“Erano presenti, ad esempio, un locale lavanderia, uno per la disinfezione, una
cabina per trasformatori elettrici, una torretta per il serbatoio delle acque, la camera mortuaria. I
dati sugli edifici sono facilmente ricavabili da una stima del 1917 effettuata per il pagamento delle
imposte
– prosegue – Da tale documento deduciamo che tutti gli edifici erano funzionanti al primo gennaio 1915, che la struttura dell’ospedale era a padiglioni e la loro funzionalità era definita dalle esigenze determinate dal tipo di malati. Un padiglione era riservato ai malati che necessitavano di cure e
osservazione, uno ai malati tranquilli, uno agli agitati e ai semi-agitati. Una tale sistemazione
riguardava i due sessi separatamente. Ai reparti si aggiungeva un edificio per i servizi generali con
la direzione, la sala divertimento, gli alloggi dei medici, l’oratorio ecc., un edificio per gli infermi
infetti. Il tutto circondato da giardini e verde, elementi visti come terapia per la mente, concetto
confermato da numerosi studi successivi anche degli ultimi anni”.