14 Febbraio 2024 - 12:53:40
di Martina Colabianchi
Udienza aperta e chiusa, questa mattina, in Corte d’Appello all’Aquila del processo di secondo grado per la tragedia di Rigopiano, giunto alla sua fase conclusiva dopo oltre due mesi di udienze.
Il disastro, che scosse profondamente la regione e la nazione intera, risale al 18 gennaio 2017 quando, alle 16.49, una valanga travolse e distrusse il lussuoso resort alle pendici del versante pescarese del Gran Sasso, causando la morte di 29 persone.
Non ci sono state repliche dalla pubblica accusa, dalla parte civile e neanche dagli avvocati dei 30 imputati per i quali la Procura di Pescara ha fatto ricorso: da qui la decisione da parte del collegio dei giudici presieduto da Aldo Manfredi di ritirarsi subito in Camera di Consiglio. Sentenza annunciata, in un primo momento, non prima delle 16, che a questo punto potrebbe essere anticipata probabilmente di una mezz’ora.
Cinque condanne e 25 assoluzioni: si era concluso così, in primo grado, tramite rito abbreviato, il procedimento davanti al gup del tribunale di Pescara.
La sentenza fu pronunciata il 23 febbraio dello scorso anno, tra la rabbia dei parenti delle vittime, presenti in aula. In particolare, sono stati condannati in primo grado il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, a due anni e otto mesi di reclusione; il dirigente del settore viabilità della Provincia di Pescara e il responsabile del servizio viabilità dell’ente, Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio (3 anni e 4 mesi di reclusione ciascuno); l’ex gestore dell’albergo della Gran Sasso Resort & SPA, Bruno Di Tommaso, e Giuseppe Gatto, redattore della relazione tecnica per l’intervento sulle tettoie e verande dell’hotel, ai quali è stata inflitta dal gup una pena di sei mesi di reclusione ciascuno. Il sindaco è stato condannato, recitano le motivazioni, “limitatamente alla condotta relativa alla omissione dell’ordinanza di inagibilità e di sgombero dell’Hotel Rigopiano”.
La chiusura della struttura e la sua evacuazione da parte non solo dei clienti, ma anche dei dipendenti, “costituiva una misura che avrebbe certamente evitato l’evento morte e lesione delle persone che erano al suo interno e dunque la relativa omissione si caratterizza per la sua piena efficacia causale rispetto agli eventi descritti”.
Nelle motivazioni, in cui si ribadisce come il sindaco sia autorità di protezione civile, vengono inoltre spiegate le ragioni che hanno portato all’assoluzione di Lacchetta e di altri imputati comunali relativi ad altri capi, riguardanti l’eventuale prevedibilità di una valanga e la mancata convocazione della Commissione valanghe.
Tra le 25 assoluzioni in primo grado spiccano i nomi dell’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, e dell’ex presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, oltre a dirigenti della Prefettura e della Regione Abruzzo. La pubblica accusa – rappresentata dal procuratore capo, Giuseppe Bellelli, e dai pm Andrea Papalia e Anna Benigni – aveva chiesto 26 condanne per un totale complessivo di 151 anni e mezzo di reclusione e quattro assoluzioni. Nel processo in Appello, i pm, durante la requisitoria, hanno chiesto la condanna di 27 dei 30 imputati coinvolti nel procedimento.
Parlano i parenti delle vittime.
“Abbiamo l’umore a pezzi ma vogliamo sperare fino alla fine ed essere ottimisti“. Così Loredana Lazzari, madre del poliziotto Dino Di Michelangelo morto sotto la valanga, nell’attesa della sentenza di secondo grado in Corte d’appello a L’Aquila del processo per la tragedia di Rigopiano.
“Se si ripetesse anche in appello un verdetto simile a quello avuto a Pescara, significherebbe che in Italia funziona tutto all’incontrario e, per quanto mi riguarda, sarebbe da rifare tutto“, ha aggiunto Alessio Feniello, padre di Stefano, 28enne morto sotto le macerie dell’hotel Rigopiano. “Spero che le cose vadano diversamente – ha concluso – altrimenti avremmo perso la fiducia nell’Italia”.