06 Aprile 2024 - 00:53:36
di Tommaso Cotellessa
Nella notte appena trascorsa, la più lunga per gli aquilani, al termine della fiaccolata che ha attraversato fra spazio e tempo i quindici anni passati da quelle ore drammatiche che segnarono in maniera indelebile il capoluogo abruzzese, allo scoccare della mezzanotte si è svolta la messa, presieduta dal Cardinale Giuseppe Petrocchi, in ricordo delle 309 vittime che persero la vita a causa del sisma del 2009.
All’interno della celebrazione nella sua omelia il Cardinale, che quest’anno celebra per l’11esima volta l’eucaristia nella ricorrenza del terremoto del 06 aprile 2009, ha ripercorso le sensazioni, i traumi, i sentimenti e i combattimenti che gli anni trascorsi hanno portato e continuano ad innescare nelle vite delle aquilane e degli aquilani.
Petrocchi ha posto il sisma del 2009 come un “osservatorio sulle tragedie del mondo“, invitando ad utilizzare il proprio dolore come una sorta di paradigma per comprendere e partecipare del dolore degli altri. Resta forte la missione e l’invito a fare memoria e a preservare il valore sacro del lutto, che nonostante il suo peso gravoso, viene accolto grazie all’annuncio della Pasqua, che con l’annuncio della resurrezione porta una nuova luce sulla storia.
È così che il Cardinale ha lanciato il messaggio “Grazie alla Pasqua, a L’Aquila ha vinto la vita!“
Di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata da Petrocchi:
“Quella di stasera è la 11ma volta che celebro l’eucaristia nella ricorrenza del terremoto del 06 aprile 2009, che devastò L’Aquila e il suo territorio. Facciamo memoria, nella liturgia, delle 309 Vittime di quella catastrofica calamità; come anche di Coloro che sono deceduti successivamente, a causa dei traumi subìti. Portiamo nel cuore e nelle nostre preghiere il dramma di quanti sono stati profondamente feriti nella mente, negli affetti e nelle situazioni “esistenziali” da quegli eventi distruttivi. Ricordiamo pure gli Abitanti, delle aree a noi vicine, che hanno perso la vita o sono stati colpiti nelle rovinose “repliche telluriche” del 2016-2017. Raccogliamo, nella nostra invocazione e solidarietà fraterna, tutte le Persone che hanno patito, in altre parti del mondo e nelle diverse epoche, questo stesso “martirio sismico”.
Il terremoto del 2009 costituisce un “osservatorio” sulle tragedie del mondo: le Vittime di quella immane disgrazia sono “Compagni di sorte” di altri Soggetti sui quali si sono abbattute le violenze di conflitti e di calamità dirompenti.
Il testo degli Atti degli Apostoli riporta la pubblica e coraggiosa professione di fede, pronunciata dall’Apostolo Pietro di fronte a quanti lo perseguitavano. «Allora Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: “sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4, 8-12). Facciamo nostra questa solenne “attestazione” del Credo: la Pasqua di Gesù ci ha reso certi che la morte dei discepoli non rappresenta lo sfacelo ultimo e definitivo dell’esistenza, ma è passaggio alla Vita eterna: quella che non muore più.
Stasera siamo riuniti qui proprio per proclamare, insieme al dolore per le Vittime del sisma, la nostra certezza che il vincolo di unità, che ci ha legato a loro, non si è spezzato, ma si è stretto ancora più forte: perché in esso è stato impresso il sigillo dell’amore evangelico. Sperimentiamo dolorosamente il “lutto”, che non viene meno perché è sacro, ma senza esserne sopraffatti: ha la meglio l’annuncio della Pasqua, che abbiamo ricevuto e accolto. Se è vero, infatti, che “tutto passa”, è ancora più vero, nella Carità, che “tutto resta”: infatti, l’amore autentico è siglato dal “per sempre”; e ogni affetto, che dura solo a “tempo determinato”, non è amore, ma emozionalità volubile e inaffidabile.
Attraversiamo questa sofferenza “estrema” da credenti, animati dalla certezza della Risurrezione. «Così, per chi crede in Gesù Cristo, la vicenda umana, così oscura e drammatica, si conclude non con la vittoria della morte, ma con la vittoria sulla morte: “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (1Cor 15,55.57)». La morte è accompagnata sempre dalle sue ancelle malefiche: la disperazione, la solitudine, il senso del fallimento. La sofferenza, causata dal decesso di una persona cara, lasciamola entrare nel nostro “spazio” spirituale: ma le cattive “compagne” della morte, no!
Sappiamo che “Cielo” e “Terra” sono congiunti nel Signore, anche se, durante lo scorrere dei nostri giorni, questa “saldatura” non si è ancora interamente compiuta.
Siamo già tutti “Con-cittadini” del Regno di Dio, anche se con diverse “titolarità”: i nostri Fratelli, che dimorano “lassù”, hanno già una appartenenza piena e definitiva; noi, che abitiamo “quaggiù”, camminiamo per raggiungerli nella stessa Patria celeste.
In questa assemblea liturgica “Loro” non sono assenti, ma si rendono realmente presenti, nella stessa Famiglia degli “Ammessi alla Vita”.
Per tale ragione, nel corso della celebrazione, ne vengono evocati i Nomi: si tratta di una scansione solenne, a voce alta; dimostrazione che, nella loro vicenda, rifiutiamo qualunque “amnesia” anagrafica ed esistenziale. Tuttavia la nostra memoria non intende rimanere solo “retroflessa”, cioè ripiegata all’indietro, ma vuole proiettarsi in avanti, sviluppando la capacità di affrontare creativamente il futuro.
La luce della fede ha compiuto il “miracolo” di far germogliare, in noi e tra di noi, il fiore prezioso della “consolazione”, che si espande dal grande albero della Speranza.
Ma questo “approccio cristiano” ha pure contribuito a forgiare atteggiamenti sociali “adeguati”, per sostenere una efficace “risposta ricostruttiva” alla sfida lanciata dal sisma.
Dopo aver sperimentato la furia demolitiva del terremoto, L’Aquila non si è fermata: non ha messo la “marcia indietro” della “rassegnazione perdente”, ma è subito “ripartita” attivando una reazione coraggiosa e fattiva: si è spinta in avanti, accelerando il “ritmo operativo” del suo robusto “motore” religioso, etico e sociale. Così è stata avviata la grande e faticosa impresa della “rinascita”: avventura corale e permanente, tesa a riguadagnare la fiducia nel presente, custodendo con fierezza i valori del passato, per riaprire le prospettive di un promettente avvenire. La Comunità, al completo, si è mobilitata per “ri-edificare” non solo “come” prima, ma “meglio” e “più” di prima: in tutti i campi! Si è passati dall’iniziale adattamento all’emergenza al successivo contributo innovativo. La bellezza perduta non solo è stata restituita, ma si è arricchita e dilatata.
La nostra Popolazione ha saputo anche evitare il rischio della “psicosi collettiva” e la sindrome della “depressione sociale” (spesso successive ad un grave sconvolgimento) che “caricano” negativamente il sistema emotivo della gente e sollevano reazioni eccessive e disadattanti. È noto, infatti, che il terremoto, oltre a suscitare “sciami” geologici, attiva pure, nell’animo delle persone, intense vibrazioni psicologiche e sociali: “sismiche” pure esse! Anche il pericolo di scivolare nel “torpore da trauma” è stato sbaragliato dalla resilienza aquilana e dalla sua tenace audacia progettuale.
Il brano del Vangelo di Giovanni, offerto dalla Liturgia della Parola, ci narra l’esperienza desolante, fatta Pietro e dagli altri Discepoli, di una “pesca mancata”, perché – come riferisce il testo – «uscirono e salirono sulla barca», ma dopo un duro e prolungato lavoro, «quella notte non presero nulla» (v. 3).
Anche a noi capita, a causa dei nostri difetti, di registrare insuccessi, nel tentativo di conseguire risultati gratificanti, “pescando” nel mare della nostra quotidianità. Spesso, valutazioni sbagliate compromettono la validità delle nostre scelte, orientandole verso interessi egocentrici ed effimeri; ma alla fine constatiamo, penosamente, di restare con le “reti vuote”. In queste situazioni di dissesto o di precarietà, che ci vedono perdenti, il Signore, con misericordia paterna, si muove verso di noi (v. 13). Lui, sa come rovesciare “in positivo” i risultati svantaggiosi in cui ci siamo impantanati. Ma per consentirGli di cambiare il nostro disagio in opportunità favorevoli, dobbiamo ascoltare la Sua voce, e darGli fiducia, anche quando ci chiede di prendere decisioni che ci costano. Lui «che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare» (Ef 3,20) è capace di rendere la nostra una “pesca prodigiosa”: quindi sovrabbondante, al di là delle attese più benevole. Bisogna, però, gettare le reti dove Lui ci indica (cfr. v. 6), anche se non sempre e non subito capiamo la “logica” di queste Sue indicazioni.
Ricordiamo che il Signore ci parla attraverso il Vangelo e nella Comunità ecclesiale, come anche “dentro” la nostra coscienza e per mezzo degli eventi che ci accadono. Sta a noi imparare a cogliere la Sua volontà, facendo il giusto discernimento e agendo con la dovuta coerenza: proprio questa fedeltà ci consentirà di “riconoscere” e accogliere Gesù, dicendo, come Pietro: «è il Signore!» (v. 7).
La Provvidenza di Dio ci ha accompagnato in questi 15 anni, consentendoci di attraversare la tragedia del sisma, dirigendoci però verso orizzonti di speranza, e conquistando novità inedite e di maggior valore.
Il dolore per il “distacco” dalle Persone care rimane radicato nella nostra anima: e continuerà ad ardere nel cuore, come una lampada perenne, alimentata da un amore che non si spegne e attende il momento del ricongiungimento.
Per capire sempre meglio ciò che è avvenuto in noi, mi sembra importante scrutare il nostro vissuto attraverso le parole che Papa Francesco ci ha rivolto in Piazza Duomo, in occasione della Sua Visita Pastorale a L’Aquila, il 28 agosto 2022: «In questo momento di incontro con voi, in particolare con i Parenti delle Vittime del terremoto, voglio esprimere la mia vicinanza alle loro Famiglie e all’intera vostra Comunità, che con grande dignità ha affrontato le conseguenze di quel tragico evento. Anzitutto vi ringrazio per la vostra testimonianza di fede: pur nel dolore e nello smarrimento, che appartengono alla nostra fede di pellegrini, avete fissato lo sguardo in Cristo, crocifisso e risorto, che con il suo amore ha riscattato dal non-senso il dolore e la morte».
Impegniamoci, perciò, a “vigilare” con sguardo sapiente e perseverante sui fatti che ci riguardano, restando saldi nella esperienza della Pasqua: «non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della Sua vita che ci spinge in avanti!» (EG n.3).
In questa notte, che rispecchia anche alcune nostre “oscurità interiori”, Maria appare come la «Donna vestita di sole» (Ap 12,1), che rischiara il nostro cammino di Credenti in Gesù. Lei, la Madre della Comunione, ripete anche a noi – come disse a Cana – «fate quello che vi dirà» (Gv 2,5). Fedeli al Suo invito continuiamo, come Chiesa Aquilana, il nostro pellegrinaggio verso la “Città Santa” celeste, dove non ci sarà più morte, né lamento, né affanno e Dio tergerà ogni lacrima dai nostri occhi: Egli dimorerà con noi e noi saremo il Suo popolo (cfr. Ap 21, 1-4). Il Signore, infatti, è l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine, l’Onnipotente (cfr. Ap 4,8-22,13).
E proprio perché Lo abbiamo incontrato e seguito, a l’Aquila ha vinto la Vita!
Giuseppe Card. Petrocchi
Arcivescovo Metropolita dell’Aquila