14 Maggio 2024 - 10:26:02
di Redazione
E’ nato in Italia, dove è stato brevettato all’Università dell’Aquila, e ora il primo farmaco contro la malattia rara che rende le ossa compatte come marmo e nello stesso tempo fragilissime è in attesa del via libera per la sperimentazione clinica negli Stati Uniti.
“Il progetto è cominciato oltre 15 anni fa, grazie ai finanziamenti di Telethon, della Commissione Europea e del ministero dell’Università e della Ricerca, ma solo in un secondo momento ci siamo concentrati su come sfruttare le conoscenze di base che fino ad allora avevamo raccolto sull’osteopetrosi autosomica dominante per trovare una cura contro questa malattia rara”, ha detto all’Ansa la coordinatrice della ricerca, Anna Maria Teti, del dipartimento di Scienze cliniche applicate e biotecnologiche dell’Università dell’Aquila. Fra i suoi collaboratori, Antonio Maurizi.
Il brevetto riguarda “piccoli Rna, detti siRNA, che regolano la formazione delle proteine da parte di Rna messaggeri: la loro funzione è riconoscere parti di Rna messaggero inducendone la degradazione, in modo che le proteine non si formino”, spiega la ricercatrice.
“Nel nostro organismo – aggiunge – un sistema fisiologico garantisce l’eliminazione del tessuto osseo vecchio e danneggiato e lo sostituisce con tessuto osso nuovo, rinnovando lo scheletro fino a dieci volte nel corso della vita”.
Nel caso della malattia delle ossa di marmo, invece, questo meccanismo non funziona regolarmente perché le cellule che eliminano l’osso vecchio non sono attive. Di conseguenza le ossa perdono la struttura cava all’interno, fondamentale per il regolare sviluppo sia del midollo osseo, ricco delle staminali che garantiscono la rigenerazione di sangue e ossa, sia delle connessioni nervose che l’attraversano.
Si manifestano così seri problemi che riguardano la comparsa di fratture ricorrenti e di disturbi ematologici e neurologici. Quando l’osteopetrosi si manifesta in forma grave è spesso curabile con il trapianto di midollo osseo.
Ci sono invece forme meno gravi ma non curabili, nelle quali solo una copia del gene malato è mutata e domina su quella normale, inducendo la malattia, “Abbiamo pensato che progettando un siRna che degradi l’Rna messaggero mutato e lasci intatto quello normale, il paziente avrebbe prevalentemente proteine normali”, dice Teti. Sono state così sperimentati molti siRNA fino a trovarne uno che “ha funzionato bene sia nelle cellule sia negli animali”.
Si tratta però di molecole che si degradano rapidamente e che per essere veicolate nell’organismo devono essere protette. I ricercatori italiani si sono perciò rivolti a un’azienda britannica, la SiSaf, specializzata nella produzione di nanoparticelle.
“Ne abbiamo selezionata una che funziona bene sul modello animale della malattia, il brevetto è stato dato loro in licenza e – dice Teti – abbiamo cominciato a considerare la possibilità dello studio clinico”.
La domanda sarà presentata all’ente americano per la sorveglianza sui farmaci, la Food and Drug Administration, perché negli Stati Uniti c’è un grande gruppo di pazienti affetti da questa forma di osteopetrosi. “Il percorso per la sperimentazione clinica è ancora lungo, ma – conclude la ricercatrice – la cosa interessante che è questa tecnologia si può applicare ad altre malattie con caratteristiche genetiche simili”.