16 Luglio 2024 - 10:51:51

di Redazione

“‘Allora siamo tutti colpevoli’. Queste sono le parole che uniscono la comunità aquilana, dopo la sentenza in Corte d’Appello, che ha confermato il pronunciamento di primo grado del 2022 con cui era stata scagionata la Presidenza del Consiglio dei ministri da ogni responsabilità. Gli aquilani sono tutti colpevoli di essersi fidati dello Stato, di quella Commissione Grandi Rischi convocata appositamente per rassicurarli. Impossibile non provare rabbia nel risentire l’intercettazione tra Guido Bertolaso, allora capo della Protezione Civile, struttura afferente alla Presidenza del Consiglio dei ministri (è importante sottolinearlo), e l’ex assessore regionale Daniela Stati. ‘Così loro (De Bernardinis, Zamberletti, Barberi e Boschi), che sono i massimi esperti di terremoti diranno: è una situazione normale, sono fenomeni che si verificano, meglio che ci siano 100 scosse di 4 scala Richter piuttosto che il silenzio, perché 100 scosse servono a liberare energia e non ci sarà mai la scossa, quella che fa male”.

E’ la dura nota di Daniele Licheri, segretario regionale di Sinistra Italiana e Pierluigi Iannarelli, segretario Circolo Sinistra Italiana L’Aquila all’indomani della sentenza della Corte d’Appello secondo cui  i familiari di 7 studenti non solo non avranno nessun risarcimento avendo assunto una “condotta incauta”, ma dovranno anche pagarsi le spese legali.

“Ed infatti Bernardo De Bernardinis, allora vice responsabile della Protezione Civile nazionale, poco prima della riunione del 31.03.2009, riunitasi appunto per  ‘zittire subito qualsiasi imbecille, placare illazioni, preoccupazioni, eccetera’ (sempre dall’intercettazione Bertolaso-Stati), rassicurava la popolazione affermando che la situazione si inquadrava in una normalità attesa e che la comunità scientifica riteneva favorevole lo scarico continuo di energia per il tramite di piccole scosse, pertanto gli aquilani potevano farsi un buon bicchiere di Montepulciano – aggiunge la nota – Dal 17 gennaio 2009 la città dell’Aquila era stata interessata da circa un centinaio di eventi sismici di cui una ventina di una certa entità; prima del terremoto devastante delle 3:32 del 6 aprile 2009 c’erano state due scosse rilevanti: una alle 22:45 di magnitudo 3.9 ed una a mezzanotte e quaranta di magnitudo 3.5. Dopo la seconda scossa moltissimi aquilani, affacciati alle finestre o per le strade dove si erano radunati, si erano detti un rassicurante ‘che ‘ora che ha scaricato possiamo andare a dormire tranquilli'”.

“‘Ora che ha scaricato possiamo andare a dormire tranquilli’ non è stata altro che la proiezione confortante di quello che era stato detto qualche giorno prima in Commissione Grandi Rischi, quello che girava sui giornali e che nessuna autorità aveva smentito. Avevano sonno quella notte i cittadini dell’Aquila, era la notte tra la domenica ed il lunedì e la mattina dovevano svegliarsi; erano notti che dormivano male perché il terremoto li stava tormentando. Altro che comportamento incauto quella notte: un comportamento di chi crede in quello che gli era stato detto e che ci voleva credere perché aveva un grande bisogno di riposare. Il terremoto aquilano ha procurato 309 vittime, nella sfortuna c’è stata la fortuna che è successo nel cuore della notte e che molti studenti universitari erano ripartiti causa le festività pasquali. Fosse successo di giorno i morti sarebbero stati migliaia: nei posti di lavoro, nelle scuole e nelle università. Avremmo visto centinaia di bambini avvolti nei sacchi neri, eppure un rappresentante dello Stato, durante un’intervista, aveva detto che potevamo bere un buon bicchiere di Montepulciano, che meglio tante piccole scosse che una scossa forte. Ora quello stesso Stato sentenzia che chi la notte tra il 5 e il 6 aprile 2009 era a L’Aquila o nei dintorni e non è andato a dormire in macchina è stato colpevole di avergli creduto, è stato colpevole di non aver capito da solo che tutte quelle notizie, che giravano sui mezzi di comunicazione circa la bontà di uno sciame sismico, erano cavolate. Ebbene sì, allora lo diciamo con forza, insieme a tutta la comunità aquilana: ‘siamo tutti colpevoli'”.

Sulla sentenza è intervenuto anche la Casa del popolo:

La Corte d’Appello dell’Aquila ha confermato ieri la sentenza del 2022 che attribuisce parte della colpa delle vittime del terremoto del 2009 a loro stesse, sostenendo che avrebbero adottato una “condotta incauta” non uscendo di casa dopo le prime due scosse. Questa decisione respinge il ricorso dei familiari di sette vittime del sisma, imponendo loro di pagare anche 14.000 euro di spese legali. È l’ennesima presa in giro nei confronti di chi ha perso la vita quella notte e dei loro familiari. Quante volte volete uccidere le vittime di quella tragica notte? Chi c’era sa che la popolazione è stata rassicurata nei giorni e nei mesi precedenti, che non è stata fatta alcuna attività di prevenzione. Chi c’era sa che l’ex vice di Bertolaso, Bernardo De Bernardinis, ha consigliato di “bere un buon bicchiere di Montepulciano” e che Bertolaso ha definito la Commissione Grandi Rischi un’operazione mediatica. Le parole di Bertolaso riecheggiano ancora: “Vengono i luminari, è più un’operazione mediatica, loro diranno: è una situazione normale, non ci sarà mai la scossa che fa male.” E allora assolti perché i terremoti non si possono prevedere. Ma dire che non c’era pericolo significò che molti studenti universitari rimasero all’Aquila per sostenere gli esami prima delle vacanze di Pasqua. Abbiamo visto l’ingiustizia nelle risate degli imprenditori Francesco Piscicelli e Pierfrancesco Gagliardi, che ridevano nonostante le macerie e i morti, perché per loro il business della ricostruzione era appena iniziato. Abbiamo sentito quella stessa risata nelle parole di Carlo Strassil, che faceva il punto sulla ricostruzione al telefono, lo stesso Strassil poi inquisito per i certificati di agibilità delle scuole post-sisma. Abbiamo visto tutto questo consumarsi nella militarizzazione del territorio aquilano e nel tentativo di spegnere ogni iniziativa partita dal basso. Tentativo non riuscito solo grazie alla ferma volontà dei compagni e delle compagne aquilane, ma perpetrato a lungo con ogni mezzo. Pensavamo di essere ormai abituati a tutto, di aver visto tutto. Eppure, ogni volta l’asticella della dignità viene spinta un po’ più verso il basso da uno Stato che continua a infangare, umiliare e toglierci dignità. Quante volte volete uccidere le vittime di quella tragica notte? La Corte d’Appello ci incolpa di aver dato retta alla Commissione Grandi Rischi. Ripete che è stata colpa nostra nell’aver creduto nelle rassicurazioni di chi ci ha detto di restare a casa. È stata colpa nostra e dei nostri cari se sono morti la notte del 6 aprile 2009. Quante volte volete uccidere le vittime di quella tragica notte? Accusiamo lo Stato di aver fatto morire quegli studenti sotto le macerie mentre gli imprenditori complici ridevano dei profitti della ricostruzione. Accusiamo lo Stato di aver creato un sistema che opprime e colpevolizza l’individuo, facendogli credere che la responsabilità sia esclusivamente sua, mentre i veri colpevoli restano impuniti. In questi anni c’è stata una chiara direzione politica, economica, giuridica e culturale che vede la colpevolizzazione dell’individuo e l’esclusività della responsabilità delle sue azioni, come se non vivessimo in un sistema sociale, economico e di potere che ci direziona. Il concorso di colpa per qualcosa più grande di noi e su cui, individualmente, non incidiamo in nulla è uno dei tanti sintomi del sistema in cui viviamo. Questo è uno Stato che si mostra forte coi deboli e debole coi forti. I tribunali agiscono in nome di questo principio, perpetuando l’ingiustizia e calpestando la memoria dei morti. Noi non abbiamo mai creduto nella giustizia dei tribunali. Questa sentenza dimostra in modo lampante che la giustizia dei tribunali è lo strumento di violenza di chi indossa gli stivali dell’oppressore. Lo vediamo qui, quando lo Stato difende se stesso e accusa una popolazione di una tragedia di cui non può essere in alcun modo responsabile. Se questa è la vostra giustizia, ci auguriamo solo che il popolo sarà domani a condannarvi partendo dall’escludere le istituzioni dalla commemorazione del prossimo 6 aprile“.

Cessate di uccidere i morti” è il titolo di una poesia di Ungaretti. È affiorato nella mia mente, quando ho appreso la notizia della sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello dell’Aquila due giorni fa in relazione alla condotta incauta osservata da sette ragazze e ragazzi morti il 6 aprile 2009“.

Inizia così la nota della consigliera comunale Simona Giannangeli, che continua:

Erano all’Aquila per studiare, fiduciosi di costruirsi un futuro fatto di conoscenze e di sapienza. Erano all’Aquila perché l’avevano scelta, con il sostegno delle famiglie. Erano ancora all’Aquila per studiare, per dare l’ultimo esame prima delle vacanze di Pasqua. Erano ancora all’Aquila perché avevano responsabilità verso se stessi. Cinquantacinque tra studentesse e studenti sono morti il 6 aprile“.

“A distanza di quindici anni, un’altra sentenza ne uccide di nuovo sette. Hanno CONCORSO nella loro morte con le loro condotte. La Presidenza del Consiglio dei Ministri è assolta ancora. I sette giovani invece sono colpevoli. Sono un’avvocata e non ho mai commentato una sentenza, senza prima leggerne le motivazioni poste a fondamento della decisione. Stavolta non posso e non voglio attendere”.

“So che l’applicazione delle norme giuridiche si fonda solo sulla ragione e sulla logica, ponendo fuori in modo assoluto la sfera emotiva. So anche che l’imparzialità e la terzietà sono elementi imprescindibili ed ineludibili dell’attività della magistratura, ma questa sentenza mi sconvolge, mi addolora e mi fa paura. Mi fa paura perché vivo in un paese costellato di terremoti, di frane, di alluvioni, di ponti caduti, di seggiovie crollate, di treni deragliati, di incendi dolosi. Come dovremo comportarci da oggi in poi? In caso di terremoto per esempio avremo l’obbligo individuale di scegliere, indovinando, la condotta cauta?”.

Correre in strada, convincere amici e parenti e amici ad uscire di casa? Per poi farvi rientro quando? Dovremo chiederci quale sia la condotta giusta, quella che, in caso dovessimo morire, non ci renderà pure colpevoli della nostra stessa morte. Sentinelle di noi stesse e di noi stessi…“.

Lo Stato si spoglia di ogni obbligo e di ogni responsabilità in relazione alla tutela della comunità che governa. E’ uno Stato che perde in civiltà giuridica, in percezione umana delle cose che accadono, è uno Stato che mi fa paura“.

Quindici anni fa un manipolo di esperti ci consigliò un bicchiere di Montepulciano per affrontare quei momenti. Oggi una Corte d’Appello afferma che sette tra studentesse e studenti quella notte hanno avuto una responsabilità nel loro essere rimasti sotto le macerie. Chissà se avevano bevuto un po’ di Montepulciano; avrebbe potuto essere un’ulteriore aggravante delle loro già incaute condotte“.

Sono addolorata e terribilmente preoccupata per ciò che questa sentenza inscrive nell’orizzonte delle responsabilità individuali in qualsiasi caso di calamità, perché da oggi siamo chiamate e chiamati al massimo grado di cautela in caso di catastrofi di ogni genere. Lo Stato abdica ancora una volta al suo ruolo di garante della vita delle comunità che abitano nei suoi confini e continua ad uccidere chi aveva scelto questa città per disegnarsi un futuro“.

E’ necessaria ed urgente la massima mobilitazione. Dobbiamo di nuovo scendere in piazza e manifestare lo sdegno ed il rifiuto di logiche inaccettabili che ci giudicano colpevoli di essere morti. Cessate di uccidere i morti è rivolta ai superstiti, affinché si sospenda ogni forma di violenza che offenda la memoria dei morti. Cessate di ucciderli“.

Sono intervenuti sulla sentenza della Corte d’Appello anche Nello Avellani, segretario aquilano del Pd, e Alessandro Tettamanti, responsabile “politiche sociali e rapporti con le associazioni” del partito:

Una sentenza, quella della Corte d’appello che ha respinto i ricorsi delle parti civili dei parenti di sette studenti vittime del terremoto 2009, che ci disorienta e sconcerta, riaprendo dolorose ferite e aggiungendo dolore al dolore per chi la notte del 6 aprile 2009 ha perso i propri cari. In pratica i giudici della Corte d’Appello attribuiscono un “comportamento incauto” ai ragazzi rimasti la notta tra il 5 e il 6 aprile nelle loro abitazioni, come se in quei giorni avessero avuto degli elementi per poter valutare il rischio e quindi prevedere l’alta possibilità di un terremoto“.

Nessun autorità scientifica o politica invece, diede al tempo elementi che spingessero la popolazione ad uscire di casa.  Non vi fu infatti nessuna ordinanza in tal senso, né tantomeno furono messe a disposizione della cittadinanza possibilità materiali alternative alle proprie abitazioni. Non era necessario dunque aver ricevuto il messaggio “rassicurazionista” dell’allora vice Capo della Protezione Civile De Bernardinis – che nel giorno della Commissione grandi rischi a cui partecipò il 30 marzo 2009 escludeva la possibilità di un terremoto – per decidere di restare a casa“.

Affinché le abitazioni fossero evacuate sarebbe stato necessario, da parte delle autorità, dare attivamente un allarme, che però non diedero affatto.  Per questo la stragrande maggioranza delle persone quella notte non hanno, legittimamente, quanto tragicamente, adottato comportamenti diversi da quelli usuali. Riteniamo dunque non si possa attribuire in alcun modo una “condotta incauta” ai cittadini e le cittadine, tantomeno ai giovani studenti fuori sede oggetto della sentenza in questione“.

Sembra altresì che la sentenza che ha condannato la Commissione Grandi Rischi nelle persona di De Bernardinis, venga utilizzata ora erroneamente per affermare che, se non si fu da lui rassicurati, allora si sarebbe dovuto provvedere a mettersi in salvo“.

Un assunto inaccettabile, la verità è un’altra: anche senza che si dimostri il cosiddetto nesso causale della rassicurazione, non può esserci mai una “condotta incauta”. Le vittime non hanno colpe. Per questo siamo sempre stati e saremo sempre al fianco dei parenti delle vittime nel chiedere il risarcimento dei danni“.

Ancora una volta, come già accaduto nel 2022, – dichiarano Silvia Tauro , presidente di Legambiente Abruzzo e Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – la sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila, che confermando il pronunciamento di primo grado,  non solo nega il risarcimento alle  parti civili ma addirittura le condanna al pagamento delle spese legali, sottolineando “la condotta incauta” delle vittime, ci colpisce in maniera dolorosa“.

Pur nel rispetto della magistratura e nella consapevolezza del complesso rapporto tra Diritto e Scienza, due anni dopo continuiamo a ripetere che non si può in nessun modo attribuire ai singoli individui  la  responsabilità di una valutazione oggettiva e certa di rischi e conseguenze. Ancora una volta la sentenza colpisce le vittime, i loro famigliari e tutta la città e quanti hanno ancora negli occhi e nelle orecchie il dolore di quei giorni, insieme al coraggio degli aquilani e di quanti, come studenti e studentesse, erano in città in quelle ore“.

Oggi più che mai la  gestione delle emergenze richiede un rapporto di fiducia e reciproca collaborazione tra lo Stato e la società civile, e tale rapporto non può essere minato alla base, continuando a lasciare soli i cittadini davanti a responsabilità, lo ribadiamo, irricevibili. Come ricordato ad aprile,  a 15 anni esatti dal terremoto,  il rilancio del cratere aquilano post sisma passa ancora senza dubbio dalla ricostruzione, vero e proprio fulcro ad oggi di tutto il sistema economico del territorio“.

Ma la ricostruzione fisica da sola non basta e, mentre per alcuni quartieri e frazioni siamo ancora lontani dal ritorno alla normalità, è centrale che la cittadinanza, soprattutto con i più giovani, si senta davvero coinvolta in questo processo materiale e sociale, e questo non può avvenire, se ci si sente “colpevolizzati” dalle istituzioni“.

Legambiente, anche grazie al  Circolo Legambiente Abruzzo Beni Culturali nato proprio nel 2009, e dal 2020 costituito come gruppo di Protezione Civile “Rita Tiberi”, inserito nella Colonna mobile della Regione Abruzzo, in questi anni ha cercato di essere presidio e punto di riferimento  continuando ad occuparsi sì del recupero, la catalogazione e la messa in sicurezza delle opere d’arte di tematiche, ma soprattutto dando sempre  voce ai temi ambientali e sociali,  per continuare non solo a vigilare sulla ricostruzione in atto, ma anche per cercare di contribuire a mantenere  lo spirito identitario e la rete sociale necessaria a non disperdere il senso di comunità, che oggi hanno anche portato al riconoscimento de L’Aquila  come Capitale italiana della Cultura 2026, proprio in virtù del percorso realizzato dalla città tutta e del  suo ruolo centrale rispetto al territorio“.

Gli sforzi di chi in qualsiasi modo, conclude Silvia Tauro – dalle istituzioni alla società civile, ha contribuito alla rinascita della città, non possono continuare ad essere gravati da pesi e ombre come quelli affermati dalla sentenza della Corte d’Appello“.

Come Legambiente Abruzzo abbiamo scelto di far parte del sistema di gestione delle emergenze consapevoli proprio di quanto fatto su questo territorio e della centralità della giusta prevenzione, e crediamo che strumenti e strategie vadano condivisi con la cittadinanza ma nella piena consapevolezza che ai singoli non può e non deve essere chiesto di sostituirsi allo Stato, proprio per la loro sicurezza e per quella di tutta la comunità“.