04 Agosto 2024 - 12:41:50
di Tommaso Cotellessa
Non tutte le storie hanno bisogno di un lieto fine. Non tutte le giornate terminano come previsto. È questo il caso di una storia che merita di essere raccontata oltre il suo finale ed il suo compimento.
Si è svolto sabato 3 agosto a Collarmele il Festival dei Giovani dell’ Appennino, un’iniziativa ambiziosa e coraggiosa, che da quattro anni tenta di porre l’attenzione su due temi relegati troppo spesso ai margini del dibattito pubblico: quello delle aree interne e quello dei giovani.
Due vuoti, due lacune che si sommano generando una landa desolata all’interno della quale generazioni di cittadini si vedono abbandonati dalle istituzioni. Nonostante ciò i giovani dell’Appennino non si sono dati per vinti ma anzi si sono riuniti fissando questo festival come appuntamento per fare rete e portare luce su quelle zone d’ombra che coprono la nostra società e paralizzano il nostro paese.
L’edizione di quest’anno purtroppo non è stata tra le più fortunate, il repentino cambiamento del clima nel corso del pomeriggio e l’improvviso nubifragio che ha colpito L’Aquila e provincia nella giornata di sabato ha scombussolato i piani e stravolto la giornata. Ma l’abbiamo detto, il finale non conta. O comunque non può rubare la scena al lavoro e all’impegno di ragazze e ragazzi che con passione e senso di responsabilità spendono sé stessi trecentossessantacinque giorni l’anno per dare un futuro a territori destinati a diventare borghi fantasma, con la tacita corresponsabilità delle istituzioni .
Si tratta di ragazzi che, come Virginia Antidormi, si impegnano affinché la spopolazione non prevalga , privandoci così di luoghi, tradizioni e stili di vita differenti da quelli frenetici delle megalopoli.
È la stessa Virginia a spiegarci che il festival ha lo scopo di invitare a restare, continuare a dare vita a quelle province abbandonate da servizi e attività . “Io – racconta Virginia – sono una delle poche persone che a 29 anni ha avuto il coraggio di farsi casa a Collarmele, un paese di 800 anime perché vorrei che questo paese continuasse a vivere”.
Nel corso della giornata di sabato il festival ha accolto delegazioni provenienti dall’Umbria, la Toscana, le Marche, la Calabria , l’Emilia-Romagna oltre che da altri paesi d’Abruzzo. Queste delegazioni hanno portato la testimonianza di altre zone d’Italia che vivono condizioni di abbandono e spopolamento. La mission è stata quella di intessere un dialogo e confrontarsi al fine di trarre buone pratiche da condividere in ogni territorio.
“Il paese può essere casa, ma può essere tutto” è questa la frase pronunciata da Virginia con una passione che si fa quasi commozione, tanto da diventare una sorta di appello da rilanciare alle istituzioni ragionali e nazionali.
La pioggia ha bagnato il festival provocando non poco dispiacere fra gli organizzatori, ma non ha affatto spento lo spirito che muove questi giovani coraggiosi custodi di luoghi destinati a scomparire.
Ospite d’onore di questa edizione del festival è stata Flavia Carlini, autrice, divulgatrice e attivista politica. Una presenza tutt’altro che casuale. Si tratta infatti di una voce giovane e autorevole, che nel mare dell’indifferenza in cui le giovani generazioni si trovano immerse, è riuscita a levarsi e farsi interprete di una concezione del mondo originale e fuori dagli schemi. Carlini è divenuta nota ai più, oltre che per l’importante ruolo di divulgatrice che svolge ogni giorno tramite i social, per il suo libro Noi vogliamo tutto, pubblicato con Feltrinelli nel 2023. Il suo è un profilo che sta riscontrando ampio successo non solo fra i giovani. Per sua stessa ammissione il suo punto di forza è l’accessibilità .
Intervistata da noi la giovane attivista ha immediatamente sottolineato lo stretto legame che intercorre fra la tematica delle aree interne e quello dei giovani
“Purtroppo sono due temi strettamente collegati. C’è una fortissima migrazione di persone che vanno via, giustamente mi viene da dire, dalle aree interne per la scarsità di opportunità e si tende ad imputare questa mancanza alle regioni, quindi a localizzarlo geograficamente”
ma per Carlini la responsabilità non è imputabile a livello locale quanto piuttosto a livello statale e governativo. Spiega infatti lei stessa
“lo spopolamento delle aree interne viene dalla mancata attenzione della Stato in generale. Mi viene da pensare a tutto quello che è il collegamento dei trasporti, per esempio qui io ci sono arrivata in auto, se avessi voluto arrivarci in treno non avrei potuto. E tutto quello che ha a che fare anche con le opportunità che si offrono. Insomma c’è una tendenza a lasciare abbandonate a se stesse determinate aree del Paese. E più si va avanti, più si tende a marginalizzare queste zone, quindi invece di investire maggiormente in quelle che sono sud e aree interne, si tende sempre ad allontanarsi. Mi vengono in mente tutti i soldi che sono stati dati per il PNRR, per il sud delle aree interne, che avevano come obiettivo anche quello di includere i giovani, eppure il 70% di quegli appalti del PNRR e del PNC sono stati attivati in deroga a questa imposizione di includere i giovani. Questo ci dice come viene vista l’inclusione, come qualcosa di scomodo, ed è esattamente qui che si rompe il meccanismo e che queste aree rimangono abbandonate a se stesse”.
E quindi cosa fare? La risposta di Carlini appare discreta e rispettosa, ma al contempo forte e incoraggiante. Afferma infatti “io non mi sentirei mai di dire a una persona no, non te ne andare, perché ci vuole una bella dose di privilegio per restare. Quindi io non sento di dire alle persone dovete restare a ripopolare l’area, perché non è giusto, non è così che dovrebbe andare.” Quello dell’autrice però è tutt’altro che un atteggiamento di rassegnazione, l’invito che rivolge infatti è quella al dissenso
“Le persone possono utilizzare il dissenso per far capire che c’è un peso nel lasciare andare una determinata area del paese, che questo ha delle conseguenze. Per esempio quante delle persone dell’Appennino che se ne vanno, non vanno a Roma, ma vanno all’estero e alimentano la fuga di cervelli. Tutto questo è un tema gigantesco, e curarsi di questo significa curarsi dell’Italia, perché solamente se non si capisce niente di società e economia, non si sa che lasciare abbandonata una generazione intera dei giovani vuol dire lasciare il futuro del paese in mano al nulla, Quindi bisogna bisogna spingere, perché questo è fondamentale, il dissenso è fondamentale, c’è un’enorme criminalizzazione del dissenso, ma bisogna continuare. E quindi questa è l’unica cosa che mi sento di dire, non lasciare andare che questo vada così, ma di dissentire, perché il dissenso è quello che ha sempre mostrato la democrazia”.
Le parole di Flavia Carlini mi risuonano nelle orecchie e come in preda ad un’assurda sinestesia mi sembra di sentirle con gli occhi mentre guardo Virginia e gli altri giovani organizzatori dell’evento. Mi sembra di vederle nei miei compagni di scuola che hanno deciso di studiare fuori o rimanere, nei miei coetanei che cercano lavoro. Mi sembra di sentirle nei miei timori nelle mie paure per il futuro.
Purtroppo la pioggia non ha reso possibile l’incontro pubblico con Flavia Carlini nella piazza dell’orologio di Collarmele, ma come canta Battiato le nuvole non possono annientare il sole. D’altronde, storie come queste, come quella di Virginia e di tutti noi giovani che viviamo studiamo e lavoriamo nell’Appennino, sembrano non avere un lieto fine, ma forse hanno semplicemente un fine più alto.