20 Settembre 2024 - 17:38:17
di Martina Colabianchi
In occasione della conferenza organizzata per domani dall’associazione culturale aquilana Piazza Fontesecco a tema colonialismo italiano, che tante polemiche sta suscitando in queste ore, la Fondazione Abruzzo Riforme, che si occupa di storia del Novecento, ha ritenuto necessario fare alcune precisazioni storiche basandosi sul progredire degli studi sul colonialismo in Italia alla luce della volontà, dichiarata espressamente dall’associazione vicina a CasaPound, di distinguere tra una storia reale del colonialismo italiano e una narrazione distorta sulle sue responsabilità.
Riportiamo di seguito il testo completo.
L’Italia è un paese che ha conosciuto nel secondo dopoguerra una forte rimozione del proprio passato coloniale. Tra le varie ragioni (che sarebbe troppo lungo riportare qui) due hanno avuto un peso notevole: l’impossibilità di accesso ai documenti per circa un ventennio e il mancato processo di decolonizzazione.
Per almeno un decennio la scrittura della storia del colonialismo italiano fu appannaggio esclusivo del Comitato per la valorizzazione dell’opera dell’Italia in Africa, creato con decreto interministeriale nel 1952.
Un organismo ufficiale composto esclusivamente da ex funzionari coloniali. Il loro racconto del colonialismo italiano era incentrato sui tipici cliché dell’età liberale e fascista: umanità nel trattamento dei colonizzati, costruzione di infrastrutture (strade soprattutto), valorizzazione agricola delle colonie, colonizzazione demografica e non a fine di sfruttamento. Insomma, alla conferma e all’edificazione del mito degli italiani brava gente.
Tale monopolio generò un ritardo nella storiografia italiana rispetto alle omologhe britanniche e francesi. Così mentre queste si confrontavano con gli stimoli provenienti dai processi di decolonizzazione investendo larghi strati di opinione pubblica (si pensi all’India per la Gran Bretagna e l’Algeria per la Francia), in Italia la storia del colonialismo rimaneva appannaggio di pochi ex funzionari coloniali.
Fu comunque anche grazie alla spinta dei processi di indipendenza degli Stati africani che, a partire dalla fine degli anni Cinquanta e soprattutto con gli anni Settanta, anche storici di nuova generazione poterono finalmente accedere agli archivi coloniali e far emergere la realtà complessa del colonialismo italiano: si pensi a Roberto Battaglia, Giorgio Rochat e, soprattutto, Angelo Del Boca. Un lavoro di archivio approfondito che fece emergere come il mito della brava gente e del colonialismo dal volto umano fosse appunto un mito e nient’altro. Dalle feroci repressioni sin dalle prime occupazioni in Eritrea di fine Ottocento, alla battaglia di Adua, passando per la guerra di Libia con le sue impiccagioni e deportazioni, fino alla repressione della guerriglia in Cirenaica dove la popolazione fu rinchiusa in campi di concentramento, per arrivare all’uso delle bombe all’iprite e fosgene in Etiopia e alle feroci stragi successive all’occupazione (Addis Abeba e Debré Libanos).
Con gli anni Ottanta una nuova generazione di storici portò l’attenzione sul razzismo coloniale: oltre ad Angelo Del Boca, Gianluca Gabrielli, Luigi Goglia, Nicola Labanca e altri hanno riportato alla luce come il fascismo, dopo la conquista dell’Etiopia, emanò una serie di provvedimenti legislativi (unico colonialismo a fare questo) volti a creare un regime di vero e proprio apartheid tra colonizzatori e colonizzati.
È stato l’inizio di una nuova stagione per gli studi sul colonialismo italiano che, grazie al fecondo incontro con i postcolonial studies, all’apertura ad altre discipline come l’antropologia, la geografia, la sociologia, la psichiatria ha potuto aprirsi in senso internazionale e andare oltre gli aspetti politico-diplomatici per penetrare a fondo il mondo coloniale. La storia coloniale italiana ha smesso di essere raccontata solo dal punto di vista dei colonizzatori, ma ha assunto al suo interno quello dei colonizzati.
Così negli ultimi trent’anni la storiografia sul colonialismo italiano ha conosciuto un enorme sviluppo che ha reso più complesso il quadro generale.
Per questo ogni tentativo di riproporre il mito degli italiani brava gente e civilizzatori è fuori dal tempo e nasconde altri intenti, quelli sì, militanti e politici.