13 Ottobre 2024 - 10:03:19

di Marco Giancarli

Cosa accadrebbe se per un disperso in mare, un professionista del settore chiedesse a qualche buon nuotatore di andare in battuta per aiutare i soccorritori?

E cosa succederebbe se da quella operazione di ricerca quel “buon nuotatore” morisse nell’intento di ricercare il disperso in mare?

Certamente nulla di buono.

Se dal livello del mare ci spostiamo qualche centinaia di metri più in alto è esattamente quello che sta accadendo sul Gran Sasso d’Italia nelle ricerche di Giorgio Lanciotti scomparso da oltre tre settimane dopo l’ultimo avvistamento sulla cima orientale del Corno Grande.

Nonostante in quota, da settimane, ci siano squadre di soccorso d’altissimo livello di preparazione che hanno e stanno setacciando diverse zone per trovare il corpo di Lanciotti c’è chi, spinto probabilmente da un protagonismo fuori tempo massimo, sta reclutando “alpinisti di buona volontà” per supportare le operazioni di ricerca.

C’è da fare chiarezza. Essere un buon alpinista, non significa affatto essere un buon soccorritore. Saper andare in montagna e conoscerla non significa neanche lontanamente conoscere le tecniche di ricerca e soccorso di cui invece le decine di tecnici del Soccorso alpino, tra Cnsas, Guardia di finanza e Vigili del fuoco sono dotati e con le quali si confrontano quotidianamente con corsi d’aggiornamento ed esperienza sul campo.

E dunque la domanda, anche per chi la montagna poco o nulla la bazzica, è semplice e desumibile. Cosa accadrebbe se un semplice alpinista reclutato, seppur su base volontaria, da un professionista della montagna cadesse in un dirupo e morisse? Di chi sarebbe la responsabilità se non legale quantomeno morale ed etica?

Domande che aspettano risposte mentre mercoledì prossimo quello che accadrà sarà proprio quanto descritto ovvero che “alpinisti di buona volontà”, cosi come vengono chiamati, si raduneranno, cartina alla mano, per ricercare il corpo di Lanciotti. Questo nel più completo disinteresse di chi invece quanto meno dovrebbe scoraggiare una simile comportamento che, seppur meritorio del singolo individuo, estremamente rischioso nel complesso.

Sulla questione sono intervenute anche le sezioni Abruzzo, Lazio e Marche del Cai, che in un comunicato congiunto hanno ricordato ai propri soci che il Club Alpino Italiano non è inquadrato tra le organizzazioni del sistema nazionale di Protezione Civile e per l’effetto non può essere chiamato a svolgere interventi di tale natura ricordando anche che la polizza assicurativa che copre le attività dei soci non contempla quella della partecipazione ad attività di ricerca; ove così fosse il partecipante viene ad assumersene tutti i rischi conseguenziali. Insomma un alt su tutti i fronti.

Quello che ci si augura è che chi ha messo in moto questa macchina dei soccorsi dilettantistica, faccia un passo indietro, permettendo ai soccorritori, quelli veri, di continuare a svolgere il delicato e duro lavoro che da oltre 3 settimane stanno portando avanti, evitando di mettere inutilmente a rischio altre decine di persone.