05 Novembre 2024 - 19:27:57

di Martina Colabianchi

16.537,55 euro. Questa la cifra raggiunta grazie alla raccolta fondi lanciata, lo scorso 17 settembre, dell’associazione L’Aquila per la vita e dalle associazioni dei familiari delle vittime del sisma del 2009 finalizzata al pagamento delle spese legali che la sentenza della Corte d’Appello dello scorso luglio ha posto a carico dei ricorrenti parenti delle vittime.

La sentenza aveva confermato il pronunciamento di primo grado del 2022 che aveva scagionato la Presidenza del Consiglio dei ministri da ogni responsabilità per la morte di sette studenti in vari crolli nel terremoto di circa 15 anni fa.

I familiari delle giovani vittime non solo non avranno nessun risarcimento avendo assunto una “condotta incauta”, ma dovranno anche pagarsi le spese legali, quasi 14 mila euro. Al loro fianco, però, è scesa in campo la solidarietà dei cittadini aquilani e non solo che ha permesso, in circa un mese e mezzo, di addirittura superare la cifra richiesta.

I motivi del successo della raccolta fondi sono stati diversi, innanzitutto la reazione che i cittadini aquilani hanno avuto nei confronti di quella sentenza che francamente stride un po’ con un generale sentimento di umanità – così Giorgio Paravano, presidente di L’Aquila per la vita -. Per questo, abbiamo cercato di alzare un po’ l’asticella dell’umanità con questa iniziativa. L’Aquila ha risposto in maniera straordinaria, così come anche molte parti d’Abruzzo“.

Il surplus del ricavato sarà donato al reparto di Oncologia dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Proprio un anno fa, L’Aquila per la vita aveva messo a disposizione dell’Unità operativa complessa di Oncologia, diretta dal professor Luciano Mutti, la foresteria ‘Il rifugio dell’Aquila accogliente’ per i malati onco-ematologici provenienti dall’Abruzzo e da fuori regione che scelgono di curarsi nel capoluogo.

Ringrazio ancora una volta questo ennesimo gesto di solidarietà della città che si è già manifestato in tante altre cose, la foresteria è certamente la cosa più visibile, ma ci sono tanti altri contribuiti estremamente utili ed essenziali per i pazienti – dichiara il dottor Luciano Mutti -. Noi non facciamo interventi chirurgici e quindi non abbiamo bisogno di macchinari, ma di risorse umane ora più che mai. Abbiamo bisogno di data manager che ci mettano a posto tutti i numeri per fare un ragionamento su dove stiamo andando, abbiamo bisogno di incrementare il servizio psicologico perché è fondamentale per il paziente oncologico, ma abbiamo bisogno anche di una persona che abbia una capacità di consulenza sull’alimentazione, perché le terapie sono tossiche, la malattia certo non fa bene al benessere del paziente e quindi questo deve essere compensato con una dieta adeguata“.

Accanto alla solidarietà, restano il dolore e la rabbia dei familiari delle giovanissime vittime di quella notte.

Noi coviamo rabbia perché non c’è stata chiarezza. I nostri figli si erano affidati a questa città, questa città aveva l’obbligo di difenderli come doveva difendere tutti i cittadini. Questa città si è affidata alla Protezione Civile dell’epoca, comandata da Guido Bertolaso, ed è stata presa in giro dallo Stato, quindi hanno preso in giro i nostri figli, gli aquilani e il risultato è stato 309 morti. Se la Protezione Civile avesse svolto il suo compito in quel frangente, avesse creato un’alternativa a quel posto letto che i nostri figli avevano e alle case degli aquilani, quindi bastava montare delle tende e dire “se avete paura, qui c’è disponibilità di un letto”, non sarebbe accaduto ciò che è accaduto. Questo doveva fare la Protezione Civile, non doveva dire di stare tranquilli, perché questo è quello che è accaduto“.

Così Sergio Bianchi, padre di uno dei sette studenti morti nei crolli.

“Siamo arrabbiati poi per le sentenze, perché mio figlio non ha nessuna colpa per la sua morte, invece la Corte d’Appello dell’Aquila ha detto che mio figlio ha colpa, ma lui aveva solo un posto dove stare. Alle 2 di notte, a -7°, dove doveva andare se non c’era alternativa? Doveva per forza rientrare a casa – prosegue -. È morto in quella casa che aveva molte carenze strutturali e per cui io ho presentato una querela, ma il pubblico ministero l’ha archiviata perché ha detto che i proprietari di case non andavano querelati. Quella casa aveva carenze strutturali che l’imputato ha ammesso, ed è stato portato ora a prescrizione dopo sette anni e mezzo. Siamo arrabbiato proprio per questo, perché la Procura ha dimenticato che le vittime andavano tutelate al 50% come gli imputati“.