24 Novembre 2024 - 16:49:20
di Tommaso Cotellessa
All’interno del nostro calendario, pubblico o personale che sia, ci sono date che fungono da promemoria, monito e appello. Una casella su un calendario può rappresentare un richiamo a non dimenticare, a non essere indifferente e non voltare la testa, un invito da non disattendere.
Questa è la risposta da dare a chi si scaglia contro le giornate internazionali dedicate ad ogni sorta di tematica. L’accusa di attivismo sporadico e di facciata, o di una partecipazione episodica sembra infatti essere divenuta uno sport nazionale. Un esercito di dita puntate è pronto a levarsi contro coloro che un giorno sono pronti a disegnarsi un segno rosso sotto l’occhio, un altro ad indossare una bandiera colorata ed un altro ancora a manifestare per un qualsiasi tema, come se nella nostra società patissimo un esubero di partecipazione.
Prender parte, esporsi o addirittura scendere in piazza sembrano azioni osteggiate dalla società odierna, con un atteggiamento che ondeggia fra la supponenza, l’irritazione fino ad arrivare alla criminalizzazione.
Eppure anche quest’anno arriva il 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere, ed anche quest’anno è necessario scendere in piazza, segnarsi di rosso, manifestare e partecipare, in quanto sono 100 in Italia le donne vittime di femminicidio solamente nel 2024. I dati parlano chiaro, in Italia il 31,7% (fonte Open Polis 2024 – Eurostat 2021) delle donne dichiara di aver subito violenze di genere, quasi una su tre.
Dinanzi a dati di tal genere come si può osteggiare il movimento di protesta desideroso di contrastare la violenza di genere? Come si può criminalizzare manifestazioni ed attivisti dinanzi agli scandali che in Francia stanno emergendo dal processo sul caso di Domenique Pelicot, nel quale sono imputati 51 uomini accusati di averla stuprata mentre era priva di sensi con la complicità del suo ormai ex marito? Come si può negare l’esistenza di una diffusa mancanza di educazione alle giuste relazioni fra uomo e donna dinanzi all’ingiusta morte di Giulia Cecchettin? Come si può coltivare supponenza e sdegno per chi è contro a tutto ciò mentre cento donne, cento concittadine, centro sorelle sono state brutalmente uccise per mano di un uomo, spesso dentro casa, quasi sempre da chi diceva di amarle.
No, non abbiamo bisogno di dita puntate contro un segno rosso, contro una bandiera e una manifestazione, perché le battaglie sui diritti hanno bisogno di tutte e tutti, la vita ha bisogno di tutte e tutti. Ne ha bisogno il cambiamento.
Per questo motivo in questo 25 novembre dobbiamo essere tutte e tutte farfalle assieme alle tre sorelle Patria, Maria Teresa e Minerva Mirabal, le Mariposas a cui è dedicata la giornata di domani, così da aprire le ali con chi non c’è più e volare verso un futuro più giusto in cui essere donna non possa mai essere causa di violenza, sopraffazione discriminazione e morte
La storia delle sorelle Maribal
Negli anni ’40 e ’50, la Repubblica Dominicana era oppressa dalla dittatura del generale Rafael Trujillo. Le sorelle Mirabal, note per il loro coraggio, scelsero di dedicarsi all’attivismo politico, denunciando apertamente i crimini e le atrocità del regime. Tuttavia, il 25 novembre 1960, le tre sorelle, soprannominate “las mariposas”, furono catturate, brutalmente torturate e poi uccise dai sicari di Trujillo. I loro corpi vennero gettati in un dirupo per simulare un incidente. Nessuno credette alla versione ufficiale, e la loro morte scatenò un’ondata di indignazione sia in patria sia a livello internazionale, attirando l’attenzione sul regime dittatoriale e sulla cultura patriarcale che negava alle donne il diritto di partecipare alla vita pubblica e politica.
Pochi mesi dopo il tragico evento, Trujillo fu assassinato e il suo regime crollò. L’unica delle sorelle sopravvissuta, Bélgica Adela, che non era coinvolta attivamente nella lotta politica, si dedicò a crescere i sei nipoti rimasti orfani e a mantenere viva la memoria delle sue sorelle.
In loro onore, ogni 25 novembre si dà il via a 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere, un periodo che si conclude il 10 dicembre, in occasione della Giornata Internazionale dei Diritti Umani.