28 Febbraio 2025 - 16:46:15

di Martina Colabianchi

Nei primi nove mesi del 2024 l’Abruzzo, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ha registrato una contrazione pari al 3,9% degli occupati nel settore dell’industria.

Lo rileva la Svimez nel report ‘Dove vanno le regioni italiane – previsioni regionali 2024-2026‘, pubblicato recentemente. «L’andamento delle regioni – si legge nel documento – in diversi casi mette in luce delle contrazioni. Nei primi tre trimestri del 2024, rispetto allo stesso periodo del 2023 gli occupati nell’industria si riducono in Friuli-Venezia Giulia (-3,8%), Valle d’Aosta (-4,1%) e Lombardia (-0,6%). Al Centro la caduta più pesante caratterizza l’Umbria (-8,5%), mentre fra le regioni del Mezzogiorno risulta in discesa in Abruzzo (-3,9%), Molise (-8,2%), Campania (-8,9%) e Basilicata (-4%). In definitiva, se è vero che nel 2024 l’occupazione industriale è rimasta mediamente stabile sui livelli del 2023, vi sono già regioni che hanno evidenziato delle diminuzioni, e in alcuni casi si tratta di contrazioni di entità significativa».

A livello regionale, relativamente al biennio 2025-2026, dovrebbero mostrare una crescita più vivace le economie dalla base produttiva più ampia, strutturata e diversificata, più pronte a intercettare le opportunità derivanti da un rafforzamento della domanda interna. Prevarranno sentieri di crescita regionale più differenziati al Nord e al Centro, più omogenei nel Mezzogiorno. Tra le diverse ripartizioni emerge nel Nord-Ovest il traino della Lombardia; nel Nord-Est, le regioni più dinamiche sono Veneto
e Emilia dove, nonostante debolezza dell’export, la crescita è sostenuta dalla domanda interna; si conferma la divaricazione interna al Centro: da un lato, più dinamiche la Toscana, per la maggiore presenza di imprese strutturate, e il Lazio, trainata da Giubileo e service economy; dall’altro, Umbria e Marche, alle prese con crisi settoriali di lungo periodo e alla ricerca di un nuovo modello di specializzazione; il Mezzogiorno risulta un’area in rallentamento ma compatta, meno esposta al rallentamento del commercio estero ma dove mancano elementi che accelerano il cambiamento strutturale, nonostante il Pnrr che sostiene la dinamica del Pil nel 2025-2026.

Il ciclo dell’export si presenterebbe debole rispetto ad altre fasi di ripresa: pochissime regioni arriverebbero nel biennio 2025- 2026 a cumulare incrementi dell’export di una certa consistenza. Fra i territori a maggiore vocazione all’export solo Emilia-Romagna e Toscana arriverebbero a superare una crescita del 3 per cento in termini cumulati nel biennio.

Guardando alla dinamica della spesa delle famiglie nelle diverse regioni, il biennio 2025-2026 dovrebbe essere segnato da una relativa divergenza fra le regioni del Nord e quelle del Mezzogiorno. La differenza è riconducibile a due aspetti: gli effetti indotti dagli interventi fiscali in grado, almeno nel breve periodo, di salvaguardare maggiormente il potere d’acquisto delle regioni del Nord; la crescita dei consumi interni rifletterebbe anche l’evoluzione della spesa dei non residenti, con effetti positivi sul Lazio nel 2025 per effetto del Giubileo, e Lombardia, Veneto e Trentino Aldo-Adige per i giochi olimpici invernali. Infine, le regioni del Mezzogiorno, che negli anni scorsi avevano beneficiato del sostegno della politica fiscale, vedranno progressivamente inaridirsi il supporto del bilancio pubblico.

Questo cambiamento nelle politiche potrebbe ritardarne il recupero. Tuttavia, sempre le regioni del Sud risentirebbero maggiormente dell’effetto positivo degli investimenti del Pnrr. Grazie, soprattutto, al contributo delle opere pubbliche, il divario territoriale di crescita degli investimenti risulterebbe quindi contenuto.