09 Marzo 2025 - 11:50:50
di Tommaso Cotellessa
Di questi tempi è davvero difficile non parlare di pace. Si vorrebbe cambiare argomento, parlare d’altro, ma se sono in pochi a farlo e ancora meno a scriverne, le alternative si riducono drammaticamente.
Il provvedimento della Commissione Europea, che destina 800 miliardi di euro per armare gli Stati membri, segna il culmine di quella che speriamo sia una parabola discendente e non una linea retta verso l’inevitabile tragedia di un conflitto nucleare.
Anton Čechov scrisse che, se in un romanzo compare una pistola, quella pistola prima o poi dovrà sparare. Oggi, però, la sua frase sembra descrivere sempre più la realtà che un racconto di finzione. Infatti, mentre nel mondo il numero di morti ammazzati continua ad essere direttamente proporzionale a quello delle armi diffuse, parlare di disarmo globale resta un’utopia per anime belle e anche solo sperare viene considerato come il sogno impossibile di chi viene etichettato come buonista, accusato di non voler fare i conti con la realtà.
Ma dinanzi alla narrazione mainstream viene da chiedersi di quale realtà si stia parlando? Se nulla cambierà, se continueremo a relegare le vere rivoluzioni al rango di ingenue illusioni, la sola realtà possibile sarà quella di una guerra inevitabile, in cui le divergenze prevarranno su tutto.
L’età della divergenza, delineata dal filosofo Maurizio Mori nel suo saggio Dall’ideale della convergenza alla realtà della divergenza, sembra aver raggiunto il suo apice. Secondo Mori, dagli anni ’80 in poi le dinamiche internazionali hanno invertito la rotta, seppellendo quella età della convergenza che, pur tra mille contraddizioni, aveva portato alla creazione di istituzioni sovranazionali nate per risolvere insieme i problemi del mondo. Si trattava di una tensione comune verso la pace, di un progetto collettivo che riconosceva nella diplomazia l’unica alternativa alla guerra.
L’epoca della divergenza, invece, ha posto al centro il mercato e l’individuo, smantellando progressivamente quelle relazioni cooperative che puntavano al bene comune. Oggi, non solo quei sentimenti di convergenza sembrano lontani, ma appaiono persino irrealizzabili, come se fossero appartenuti a un’illusione, e non alla realtà.
Annunciando il piano di riarmo, Ursula von der Leyen ha dichiarato: «Viviamo tempi pericolosi, la nostra sicurezza è minacciata». Una frase innegabilmente vera, ma che induce a una riflessione più profonda. La minaccia, infatti, non è solo quella esterna, ma anche quella che noi stessi contribuiamo a creare. La vera minaccia è nelle nostre scelte, nelle parole che diciamo e in quelle che restano inascoltate.
Eppure, un’alternativa alla chiamata alle armi esiste. C’è un altro posto da occupare: quello della pace, della speranza contro ogni speranza. Forse, non resta che sederci “dalla parte del torto”, come diceva Bertolt Brecht, perché tutti gli altri posti sono già stati occupati.
Ma in questo luogo di resistenza, un uomo c’è già. Un uomo stanco, provato, ma che non ha mai smesso di far sentire la sua voce. Veste di bianco e la sua voce è inconfondibile.
Nella sua autobiografia, Spera, scrive una frase che suona quasi come appartenente a un tempo lontano, onirico:
«Dobbiamo alimentare la speranza con la forza dei gesti, anziché sperare nei gesti di forza».
È questa la strada da percorrere. La strada dei gesti concreti, che rendano possibile ciò che agli altri appare un’astrazione. Solo allora l’impossibile potrà diventare reale.
A quest’uomo, in questi giorni difficili, non possiamo che essere grati per la sua presenza costante e per la sua voce instancabile.
In un altro passaggio della sua autobiografia si legge:
«Nei confronti della mia morte ho un atteggiamento molto pragmatico… Anche se so che me ne ha già fatte molte, ho chiesto solo una grazia ancora al Signore: prenditi cura di me. Che sia quando vuoi, però tu lo sai, io sono piuttosto fifone per il dolore fisico, quindi, per favore, che non mi faccia troppo male».
Non resta dunque che confidare in una pronta guarigione per Papa Francesco e pregare affinché questa grazia gli venga concessa. Sperando, soprattutto, che quel momento arrivi il più tardi possibile.
Nel frattempo non possiamo che fare nostre le sue parole provando a stare dalla parte del torto.