14 Marzo 2025 - 13:00:51

di Tommaso Cotellessa

A 16 anni dal terremoto dell’Aquila, la comunicazione del rischio sembra essere rimasta immutata. Lo denuncia con forza Vincenzo Vittorini, le cui parole non suonano solo come un grido d’allarme, ma come l’amara conferma di una verità inascoltata.

Vittorini, attivista e membro del movimento dei parenti delle vittime del sisma del 2009, ha perso la moglie e una figlia nel terremoto. Da allora, ha portato avanti battaglie per una ricostruzione consapevole e per un’informazione chiara e responsabile, con l’obiettivo di garantire un futuro alla città dell’Aquila e al suo territorio. Tuttavia, di fronte alle recenti dichiarazioni di alcuni amministratori campani sui movimenti tellurici legati al fenomeno del bradisismo nei Campi Flegrei, Vittorini esprime tutta la sua amarezza: dopo 16 anni, sembra che nulla sia cambiato.

Le dichiarazioni a cui si riferisce sono quelle dell’assessore di Napoli, Edoardo Cosenza, che – come riportato dal quotidiano La Repubblica – ha affermato, dopo l’ultima scossa di magnitudo 4.4 della scala Richter: «Non siamo in preallarme». Un’affermazione ripresa dal responsabile delle infrastrutture, che in un post ha aggiunto: «Servono altri parametri geofisici». Parole che riecheggiano, secondo Vittorini, quelle pronunciate a vari livelli istituzionali nei giorni precedenti il 6 aprile 2009.

«Non voglio entrare nel merito della situazione dei Campi Flegrei, che è estremamente complessa», chiarisce Vittorini. «Il mio intervento riguarda esclusivamente la comunicazione del rischio, un ambito in cui si continuano a ripetere gli stessi errori del passato, fornendo informazioni lacunose che impediscono ai cittadini di comprendere la reale condizione in cui si trovano».

«È chiaro che potrebbe esserci un’evoluzione. Io spero che non avvenga mai. Ma leggere certe dichiarazioni è assurdo. Si tratta di parole agghiaccianti, che fanno accapponare la pelle. Viviamo in un Paese fragilissimo, dove sarebbe necessario investire in prevenzione e gestione del rischio. Eppure, mentre si trovano immediatamente 800 miliardi per gli armamenti, la prevenzione non viene considerata una priorità».

Vittorini ricorda che dopo il sisma dell’Aquila sono nati importanti progetti innovativi sulla comunicazione del rischio. Tuttavia, questi sforzi sembrano essere stati vani: ancora oggi, la comunicazione in caso di possibili calamità oscilla tra il rassicurazionismo e la brutalità. Lo stesso Vittorini fra gli esempi di questa “cattiva” comunicazione ha citato anche l’affermazione del capo della Protezione Civile, Fabio Ciciliano, che meno di un mese fa ha dichiarato in conferenza stampa: «Se arriva una scossa di quinto grado, crollano i palazzi e si contano i morti. È così che funziona».

«La comunicazione non si fa così», ribadisce Vittorini, per il quale comunicare in maniera sana e competente significa dire la verità e prendersi cura della popolazione facendola sentire accolta.

Questa, secondo Vittorini, avrebbe dovuto essere l’eredità del «modello L’Aquila», di cui si discute nuovamente in questi giorni con l’approvazione del disegno di legge sulla Ricostruzione post-calamità. Un modello che, invece di limitarsi alla ricostruzione edilizia, avrebbe dovuto rappresentare un cambio di paradigma nella gestione del rischio: una città antisismica, socialmente vivibile, un’informazione chiara e consapevole, un investimento strutturale sulla sicurezza del territorio.

«Il modello L’Aquila avrebbe dovuto consistere nella ricostruzione di una città al 100% antisismica, avrebbe dovuto esportare una cultura della prevenzione e una comunicazione del rischio competente».

«È chiaro – conclude Vittorini – che nessuno ha la bacchetta magica, ma dovremmo essere pronti in un altro modo. Purtroppo, questa attitudine ancora non c’è».