16 Marzo 2025 - 15:45:31
di Tiziana Pasetti
Abito a pochi metri da Piazzetta del Popolo. Ieri mi sono detta, visto che avevo deciso di passare un sabato casalingo, “gironzoliamo intorno a casa, facciamo quattro passi”.
Così ho visto arrivare er popolo europeo.
Scendere dagli autobus gran turismo provenienti da Viterbo e Zagarolo, prendere d’assalto i ristoranti per una gricia al volo, entrare nei negozi di souvenir per comprare un ricordino del Giubileo (“ddu piccioni co’ na fava”). Ho visto i leader della sinistra declamare i loro discorsi al vento della rivoluzione di una bandiera azzurrina (ma semo sicuri?)
Pensate: 50000 persone, 50000 europei de Viterbo e Zagarolo!
Poi c’era un’altra piazza. In una città a est.
Piazza Slavija, a Belgrado. Da inizio novembre i giovani stanno manifestando pacificamente contro il sistema di corruzione e censura che strozza la Serbia, una Serbia che la nuova generazione vuole diversa.
E non si limitano a sognarla o a farla gridare dal palco inaccessibile al popolo dai soliti cinque personaggi: nessun leader, tutti leader. Camminare, attraversare tutte la città da Novi Sad (catalizzatore del movimento dopo il crollo della pensilina della stazione ferroviaria e la morte di 15 persone) in poi e intorno e in lungo e in largo, i paesi, le campagne. Parlare e abbracciare chiunque.
E sentire l’appoggio – “siamo con voi”, hanno scritto – di Sarajevo. Sarajevo.
Dove i “vecchi” rappresentanti della Republika Srpska ancora seminano disagio e confusione per smembrare la Bih.
Più di 300000 (trecentomila) persone a dire “adesso basta”. Farlo senza avere l’appoggio dei media (locali e mondiali) in un paese ancora pieno di mafie tentacolari, infiltrate nei Palazzi, ricco di armi (molte ancora eredità del conflitto di fine millennio) a uso personale.
La Serbia e la Bosnia Erzegovina sono candidate all’UE.
Da Roma una bandiera che non abbiamo mai davvero considerato e un messaggio che alzi la mano chi l’ha davvero capito.
Dai giovani di Belgrado e Sarajevo (per motivi diversi per entrambe) una richiesta specifica – con nomi e cognomi di chi non vogliono più – per vivere un tempo di sicurezza e dignità.
Qui a Roma è finita a tarallucci e vino e la pubblicazione dei discorsi (che non dimentichiamo che chi sale su un palco vuole un applauso).
A Belgrado non è finita. Le vere manifestazioni sono roba (perdonatemi) seria, non Serra.