31 Marzo 2025 - 09:18:47

di Redazione

In Abruzzo per l’anno scolastico 2025/26 si prevedono 2607 alunni ed alunne in meno rispetto all’anno scolastico in corso.

A lanciare l’allarme è Flc Cgil Abruzzo Molise, in base ai dati forniti dall’Ufficio scolastico regionale. A Chieti ci saranno 994 alunni in meno rispetto all’anno scolastico 24/25, all’Aquila 466, Pescara registra -766 alunni, mentre a Teramo ce ne saranno 381 in meno, per un totale su territorio regionale di 2607 studenti.

La popolazione studentesca della scuola pubblica abruzzese per l’anno scolastico 2025/26 ammonterà, dunque, a 157.764 unità distribuite su tutti i gradi di scuola.

«Questo dato, desunto dalle iscrizioni, fa segnare sì una perdita di 2607 alunni ed alunne rispetto allo scorso anno, ma se incrociato con quelli degli ultimi 4 anni, la perdita totale ammonta a ben 9.851 iscritti ed iscritte in meno – afferma il sindacato – L’unica novità (ovviamente negativa) è che le 2.607 iscrizioni in meno, in termini di organico docenti per il prossimo anno scolastico 25/26 si declineranno in una perdita di 113 posti in organico di diritto (- 24 CH, – 25 AQ, – 34 PE, – 30 TE), mentre negli anni precedenti si era riusciti ad evitare il taglio, e ciò aveva favorito un aumento del tempo scuola e classi più adeguate al contesto territoriale. Si tratta, da qualunque angolazione si vogliano leggere, di dati che confermano l’inesorabile declino delle nostre aree più interne, frutto di una combinazione dannosa tra spopolamento e denatalità. Sono dati che meriterebbero da soli un impegno politico non più procrastinabile, poiché la ricaduta che spopolamento e denatalità hanno sulla scuola è solo la punta dell’iceberg. La parte sommersa dell’iceberg parla dell’abbandono delle aree interne da parte dello Stato che, privando la popolazione dei servizi essenziali (sanità e trasporti in primis) e non attivando politiche produttive e del lavoro, ha gradualmente favorito lo spopolamento». 

In base ai dati dell’Usr Abruzzo, precisa ancora la Flt Cgil, si nota «l’aumento preoccupante e significativo dei posti di sostegno e questo è un allarme sociale su cui non si può tacere perché testimonia di una fragilità della popolazione ormai evidente. I posti di sostegno sono per lo più posti precari poiché da anni non si procede alla stabilizzazione del personale specializzato che vive annualmente incertezza lavorativa ed economica a danno degli alunni e delle alunne, a cui non viene garantita la continuità didattica. La continuità didattica è un fattore fondamentale nel rapporto tra docente e discente e non si risolve certo con la richiesta della famiglia di confermare l’insegnante precario anche non specializzato, come vorrebbe Valditara, ma attraverso una seria politica di stabilizzazione, uguale per tutti e gestita attraverso procedure di reclutamento trasparenti e diffuse. Nella nostra regione il numero del personale precario sul sostegno ha superato il 50% dei posti».

«Da anni la nostra organizzazione sindacale rivendica la necessità della stabilizzazione sui posti di sostegno, nonché la necessità della revisione dei parametri per l’attribuzione degli organici docenti ed Ata. Abbiamo bisogno di misure legislative che superino il DPR 81 e che tengano conto delle particolarità dei territori e delle loro esigenze – conclude la nota – Riteniamo che la politica dovrebbe trovare soluzioni ad un problema che non è più rinviabile, magari evitando anche lo spreco di risorse che potrebbero essere investite per misure strutturali da monitorare e verificare costantemente. Le enormi risorse del Pnrr che si sono abbattute sul sistema scuola, affaticandone tutte le componenti, potevano essere impiegate per la ripresa economica dei territori su cui le scuole insistono e favorire la permanenza della scuola nei luoghi più interni lavorando al ripristino dei servizi essenziali.  Non è un caso che i numeri più alti di dispersione scolastica riguardano proprio i ragazzi e le ragazze provenienti dalle aree socialmente ed economicamente più svantaggiate. I dati che ci sono stati forniti dall’Usr immortalano la realtà attuale, ma noi riteniamo che sia compito della politica avere una visione di prospettiva e, laddove, la prospettiva sia di impoverimento, trovare le modalità e le risorse per rimuovere, come afferma l’art.3 della nostra Costituzione, gli ostacoli di ordine economico e sociale, al fine di realizzare l’uguaglianza sostanziale e non formale. La politica regionale e nazionale non può limitarsi a fotografare l’esistente, ma dovrebbe impegnarsi a rimuovere tali disparità di trattamento, in attuazione dei principi costituzionali. La direzione in cui si sta andando, invece, sembra diametralmente opposta. I progetti di autonomia differenziata, di regionalizzazione dell’istruzione e di dimensionamento scolastico messi in campo, minano alla base l’idea di una scuola pubblica nazionale e mettono fortemente in discussione l’unità del sistema dei diritti. Continueremo a mobilitarci in ogni modo per fermare questo declino».