20 Aprile 2025 - 09:33:17

di Tommaso Cotellessa

Mille occhi non bastano per raccontare una città, se la si guarda sempre dalla stessa prospettiva.
Infatti una città si compone di strati, di frammenti, di storie che si intrecciano e la rendono complessa, articolata, spesso contraddittoria. Non è perciò raro che un cittadino veda dissolversi la sua certezza di conoscere il proprio territorio, quando si trova di fronte a realtà e condizioni che credeva impensabili.

Proprio quest’ultima è la sensazione che si prova quando ci si avvicina al tema dei minori non accompagnati, questi giovani sembrano infatti cittadini di un’altra città, nascosta e dinanzi alla quale i più voltano le spalle. Uno strato che resta ai margini, nascosto e silenzioso, di cui si parla solo quando fa rumore e anche in quei casi le uniche parole che si spendono sono di repressione.

Questo strato della città, fatto di giovani vite alla ricerca di un futuro tutto da costruire, può essere osservato in due modi: si può voltare lo sguardo, scegliere di non vedere, oppure impegnarsi a rendere visibile ciò che sembra invisibile.

È proprio questo secondo sguardo che ha dato vita a un documento prezioso, meritevole di diffusione, riflessione ed emulazione. Parliamo del documentario realizzato dal giovane aquilano Gabriele Ferrara, nato da un’idea di Bouchib Gamal con il patrocinio dell’Ordine degli psicologi d’Abruzzo. Il lavoro in questione si addentra nella difficile condizione vissuta a L’Aquila dai cosiddetti “minori non accompagnati”: tanti giovani che approdano nella nostra città senza famiglia, spesso senza un adeguato sistema di accoglienza.

Il documentario, intitolato “Devianza giovanile e integrazione: il caso dei minori stranieri a L’Aquila”, ci guida dentro quella città invisibile, non moltiplicando gli occhi che osservano – come spesso accade con approcci repressivi – ma scegliendo uno sguardo più profondo, più attento, più vero.

Ci sono infatti ragazze e ragazzi per i quali diventare maggiorenni significa trovarsi improvvisamente soli, in una corsa contro il tempo. A diciott’anni, c’è chi si sente ancora un bambino e avrebbe bisogno dei propri genitori; e c’è chi, raggiunta la maggiore età, ha solo 60 giorni per trovare un lavoro e una casa, altrimenti rischia di essere considerato un “irregolare”. Le regole, a volte, sembrano non valere per tutti allo stesso modo.

In poco più di un’ora Ferrara ha raccolto le testimonianze di chi ogni giorno lavora per un’integrazione possibile, di chi affronta le complessità – a volte inutili – della macchina amministrativa, e di chi cerca di leggere psicologicamente questo fenomeno, spesso ignorato ma estremamente rilevante.
Ma soprattutto, viene data voce ai protagonisti: a chi cerca di costruirsi una vita in mezzo a questa bufera silenziosa.

Il valore sociale di questo progetto è enorme, e può essere paragonato – per portare un esempio illustre – al film Io Capitano di Matteo Garrone. Là dove Garrone si ferma all’approdo sulle coste italiane, Ferrara prosegue il racconto, indagando il “dopo”: quella permanenza difficile, dove i sogni si scontrano con ostacoli duri e con una politica spesso ostile all’integrazione reale.

Eppure, la nostra città, fin dalla sua fondazione, si è definita come aperta e accogliente, ben oltre ogni forma di aristocrazia o nobiltà. Lo ricorda anche la Fontana della Rivera, uno dei monumenti più antichi dell’Aquila, dove è inciso: “Il lavoro e l’onestà fanno essere cittadini dell’Aquila”. Non il sangue, né la dinastia.

Questa radice antica sarà la guida e il clima dell’iniziativa prevista per il 24 aprile alle ore 18:00 presso il Teatro Zeta, durante la quale verrà proiettato il documentario e si discuterà dei temi trattati insieme agli autori, agli ideatori e agli operatori del settore.

Si tratta di un appuntamento da segnare in agenda, perché se si pensa che l’unico modo è “aiutarli a casa loro”, se nella mente si cova – anche solo inconsciamente – una sorta di risentimento provocato da una mostruosa narrazione del “migrante trusciante”, questo documentario rappresenta davvero un bagno di realtà, un vaccino.

Dietro le tante parole, le narrazioni e gli slogan ci sono le persone e questo documentario offre l’opportunità di poterle guardare negli occhi.