22 Aprile 2025 - 13:49:55
di Tommaso Cotellessa
In queste ore di tristezza e sgomento anche l’arcivescovo dell’Aquila Antonio D’Angelo ha ricordato Papa Francesco con parole di gratitudine e di profondo affetto.
D’Angelo ha infatti sottolineato la capacità del Pontefice di essere di essere vicino agli ultimi, dando prova di una grande umanità.
«Ha fatto vedere nel suo ministero, nel suo pontificato, proprio attraverso la sua esperienza di fede e di vita, come questo Dio è presente nella storia. Proprio attraverso la vicinanza agli ultimi, a coloro che sono nel bisogno come il Vangelo stesso ci racconta, ci dice e ci invita ad essere. Credo che questo lo abbia fatto perché lui ha vissuto sempre una profonda relazione con il Signore. Uomo di grande spiritualità, di grande profondità spirituale, e questo credo che sia la qualità più nobile di Papa Francesco che ha saputo poi trasmettere in gesti, parole e facendosi vicino a tutte quelle situazioni particolari e in tanti modi, sia in maniera più visibile con documenti e il suo magistero, ma anche nella forma più personale facendo sentire la sua voce attraverso qualche telefonata a persone in sofferenza, o andando a visitare alcune persone. Credo, quindi, che questo sia il segnale più alto e più profondo della sua persona».
L’arcivescovo ha inoltre posto un importante accento sullo stretto rapporto fra la comunità aquilana e Papa Francesco, sigillato da quella visita che nell’agosto del 2022 vide il pontefice presiedere il rito di apertura della porta Santa della Basilica di Collemaggio.
«Possiamo dire che la nostra comunità aquilana, la nostra chiesa aquilana ha ricevuto un grande dono da parte di Papa Francesco e soprattutto direi da questo nasce un grande legame con lui, veramente profondo di affetto, di stima, proprio perché è venuto come Papa ad aprire la Porta Santa e questo è già un gesto grandissimo perché vuol dire che riconosce il valore della Perdonanza come un valore della chiesa universale, custodito nella nostra chiesa locale aquilana, ma a servizio e come dono per tutta la chiesa universale e per tutto il mondo. E poi il messaggio che lui in quell’occasione ci ha lasciato, definendo l’aquila capitale del perdono e Collemaggio come tempio di riconciliazione».
«Queste sono tematiche – ha proseguito – che nella sua vita e nel suo pontificato ha sempre testimoniato, annunciato e anche l’anno della misericordia che lui ha fatto nel 2016, ed anche le indulgenze che ha lasciato in noi, questo tempo di particolare grazia per la nostra chiesa aquilana. Quindi, credo che a lui noi come Chiesa siamo innanzitutto legati perché è stato il nostro Papa fino a ieri e, nello stesso tempo, per questa particolare vicinanza e attenzione che Papa Francesco ha avuto nei nostri confronti».
Ma nei 12 anni di pontificato di Papa Francesco c’è anche un altro momento indimenticabile per la comunità aquilana, quel sorprendente «Jemo ‘nnanzi» pronunciato da Piazza San Pietro.
D’Angelo nel ricordare quel momento sottolinea la capacità di farsi interprete di ogni popolo, di dimostrare appartenenza e solidarietà.
«Anche in questa espressione nostra aquilana, dice anche come lui ha questa capacità di inserirsi nel territorio, di entrare dentro la vita, la storia delle persone, dei contesti sociali, di sposarla fino in fondo e di assumerla, quella realtà. E quindi questa è la cosa più bella per cui significa che quello che uno fa, lo fa perché ci crede, perché lo vive con il cuore e lo vive profondamente e quindi la sente propria per cui poi la fa propria quella realtà. In questa espressione gli Jemo ‘nnanzi è proprio questa comunione che lui ha voluto esprimere, vivere con la nostra realtà diocesana, aquilana».
Profondamente simboliche, pur nella loro semplicità, le parole con cui Papa Francesco si è presentato alla comunità cattolica di tutto il mondo all’inizio del suo pontificato, e quelle con cui si è congedato nel giorno di Pasqua.
«Queste due espressioni, ‘buonasera’ e ‘buona Pasqua’, dicono la sua umanità e, soprattutto, il suo legame con la comunità, con le persone. Se ricordiamo bene, quella sera lui chiese di pregare per lui e chiese la benedizione del popolo cattolico in piazza San Pietro. Questo significa che lui ha vissuto sempre in stretta relazione con la comunità, si è sentito il ‘pastore’, come lui si definiva, colui che sta in mezzo al gregge e così la famosa espressione ‘avere la puzza delle pecore’. Lui si è sempre fatto vicino alle persone, alle comunità, in forme ed in modi diversi. Credo che sia proprio questo suo stile di vicinanza vera, reale, ad averlo contraddistinto nel suo pontificato».
Infine, un inevitabile sguardo al futuro.
«Il successore di Francesco raccoglierà la Chiesa che è del Signore, innanzitutto. Quindi, raccoglierà quello che in questo tempo è stato fatto, quello che il cammino della Chiesa ha fatto in questi ultimi dodici anni con Papa Francesco. Lascia un’eredità, ma la Chiesa ha un percorso di continuità e, quindi, ogni tempo, ogni storia, ogni pontificato ha il suo onore, la sua ricchezza, la sua bellezza che in quel momento storico particolare si concentra su alcuni aspetti significativi. La storia della Chiesa, la comunità cristiana, si sviluppa sempre con continuità».