16 Giugno 2025 - 11:54:27
di Tommaso Cotellessa
Mentre a Gaza due milioni di persone lottano per sopravvivere alla violenza, alla fame, alla sete e alla mancanza di cure, nel nostro Paese, dopo anni di censure e marginalizzazione, sembra crescere un movimento di solidarietà nei confronti del popolo palestinese e di ferma denuncia dei crimini di guerra del governo Netanyahu.
Un desiderio di pace consapevole e sempre più coinvolgente ha animato il corteo che il 7 giugno ha attraversato la capitale, e si prevede un’altrettanta ampia partecipazione per il prossimo sabato, in occasione della tappa romana della campagna #StopRearmEurope.
Con lo stesso desiderio di pace, libertà e giustizia, domenica scorsa a Marzabotto, l’Anpi, l’Arci, la Cgil, Emergency e molte altre realtà associative si sono ritrovate per marciare fra i colli dell’Appennino e chiedere il cessate il fuoco e la salvezza per il popolo palestinese.

L’appuntamento nazionale Save Gaza si è distinto per l’alto valore simbolico che lo ha ispirato. La scelta di marciare da Marzabotto a Monte Sole ha aperto la possibilità di una denuncia il più possibile ampia e consapevole: una condanna di ogni guerra, di ogni goccia di sangue innocente versata a causa della folle logica bellica umana. Una denuncia che, attraversando il passato, diventa scelta di campo.
Circa 8.000 persone hanno camminato su quelle terre intrise del sangue di oltre 1.800 vittime civili – tra cui un altissimo numero di bambini – brutalmente uccise tra settembre e ottobre del 1944, nella rappresaglia del regime nazifascista.
Le morti di allora non furono frutto di una cieca follia omicida, né di sete di sangue o raptus collettivi, ma della volontà di lanciare un messaggio, di compiere un gesto politico ancor prima che militare. Le forze occupanti volevano annientare ogni possibile legame tra civili e partigiani. Doveva passare il messaggio che sostenere la Resistenza significava morire. L’obiettivo era incutere terrore per costruire su di esso un ordine politico.

La scelta di Marzabotto, dunque, non è stata il risultato di un riduzionismo antistorico, né della tendenza – purtroppo diffusa – a “fare di tutta l’erba un fascio”, fino a confondere tutto nell’indistinto buio in cui “tutte le vacche sono nere”. È stata invece dettata dalla consapevolezza che il massacro di Gaza e il folle protrarsi del conflitto in Medio Oriente non sono il risultato di mera crudeltà o sete di sangue, ma di interessi politici e di dimostrazioni di forza che minano il diritto internazionale e generano distruzione e morte su scala inaccettabile.
Sul palco di Marzabotto sono intervenuti i volontari di Emergency, che ogni giorno assistono i feriti sul campo, insieme a giuristi, attivisti e giovani palestinesi. Tra gli intervenuti anche Tomaso Montanari, rettore dell’Università per Stranieri di Siena, il sindaco di Bologna Matteo Lepore, la sindaca di Marzabotto Valentina Cuppi – promotrice dell’evento – e il presidente nazionale dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo.
Quello che si è levato è stato un unanime grido di pace: il grido di chi piange le morti israeliane del 7 ottobre, così come i bambini di Gaza.
È stato un grido che, partito da un luogo di massacro, ha cercato di raggiungerne un altro, per dar voce all’eloquente sangue di Abele, sparso dalla fratricida guerra che l’umanità continua a combattere da secoli.