07 Luglio 2025 - 09:18:42
di Redazione
«Entro il 2030 In Italia da domanda di gas scenderà del 15 per cento rispetto al 2023. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto di Ember, l’autorevole think tank indipendente globale, specializzato negli studi sull’energia. Ciò significa che i consumi italiani di gas, che nel 2023 sono stati di 61 miliardi e 500 milioni di metri cubi, nel 2030 si attesteranno intorno ai 52 miliardi di metri cubi, 8 in meno rispetto all’obiettivo fissato dal Piano nazionale energia e clima (Pniec). Pertanto, costruire nuove infrastrutture metanifere, come la centrale Snam di Sulmona e il metanodotto Linea Adriatica, è inutile perché quelle esistenti sono
più che sufficienti».
Lo ribadisce in una nota Mario Pizzola, attivista del Coordinamento per il clima fuori dal fossile, dopo il “no” arrivato dalla commissione regionale Ambiente al progetto Snam.
«Anche un altro importante centro studi globale, l’IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis), condivide questa tendenza e scrive che bisogna evitare che l’Italia diventi “una terra di infrastrutture inutilizzate”. Ma allora, se nuovi impianti nel settore del gas non sono necessari, perché vengono realizzati? La Snam, naturalmente, sa bene che sono inutili ma, paradossalmente, è l’unica che ci guadagna. Questo grazie al meccanismo incentivante dei “ricavi regolamentati”. La Snam, infatti, opera in regime di monopolio e non di libero mercato concorrenziale. Pertanto, lo Stato tramite l’ARERA (l’autorità italiana per l’energia) riconosce alla Snam sia i costi di ammortamento degli investimenti effettuati che il rendimento degli stessi investimenti», sottolinea.
«La Snam, perciò, non ci rimette nulla ma realizza i suoi utili anche se la centrale di Sulmona non
dovesse mai entrare in funzione e se nei tubi della Linea Adriatica non dovesse passare neppure un
metro cubo di gas. A rimetterci, però, saranno i cittadini italiani attraverso un immotivato aumento
della bolletta del gas per i prossimi 50 anni (la vita utile degli impianti). A ciò vanno aggiunti i costi
della devastazione ambientale e quelli – come nel caso di Sulmona – della distruzione di irripetibili
testimonianze archeologiche e storiche», prosegue Pizzola.
«Gli incentivi agli investimenti in infrastrutture devono essere guidati dalla domanda – ha dichiarato Ana
Maria Jaller – Makarewicz, analista di IEEFA – Nel caso dell’Italia è il contrario: i ricavi regolamentati spingono la costruzione di infrastrutture anche se la domanda non è sufficiente a giustificarle».
Secondo Matteo Leonardi, direttore e co – fondatore di ECCO, Il think tank italiano per il clima, «nuovi investimenti in infrastrutture gas sono incompatibili con la sostenibilità economica delle reti. Occorre dare la priorità alla razionalizzazione delle reti e iniziare la dismissione in coordinamento con un piano di elettrificazione».
«Ma i maggiori quantitativi di gas importati dall’Italia potranno servire per essere rivenduti in Europa? – specifica ancora Pizzola – No, il piano del governo per far diventare il nostro Paese un hub del gas è solo una illusione, perché la domanda di gas è destinata a calare anche nei Paesi dell’Unione Europea. Al riguardo Ember evidenzia che la domanda di gas nel vecchio continente passerà da 326 a 302 miliardi di metri cubi entro il 2030, ma ricorda anche che tra il 2021 e il 2023 la domanda è già calata del 19 per cento, passando da 404 a 326 miliardi di metri cubi. L’assurdo è che, mentre tutte le stime prevedono un calo della domanda, in Europa sono in corso molti progetti – come in Italia quelli già realizzati di Piombino e Ravenna – per aumentare la capacità di importazione di GNL (gas naturale liquefatto), con una crescita prevista del 54 per cento entro il 2030».
«Lo studio di Ember sottolinea che i Paesi dell’Europa centrale e orientale, una volta dipendenti dalle importazioni dalla Russia, dispongono già di infrastrutture sufficienti per soddisfare la domanda di gas. Già nel 2025 Austria, Ungheria e Slovacchia hanno evitato interruzioni grazie a forniture alternative, mentre la capacità di importazione non russa è superiore alla domanda. Insomma, l’irrazionalità domina il settore dei combustibili fossili e chi ci guadagna sono solo le grandi multinazionali, come Snam e Eni, che impongono le loro decisioni ai governi», conclude.