29 Luglio 2025 - 12:26:01
di Redazione
Parlare di speranza non è mai facile: significa confrontarsi con qualcosa che esiste senza un motivo preciso, o meglio, senza una spiegazione razionale che renda tangibile l’oggetto stesso della speranza. La speranza, infatti, non si calcola come un bilancio tra costi e benefici: la speranza si vive, si sente, soprattutto si sceglie.
Eppure, nella serata di ieri a L’Aquila, la speranza è diventata sorprendentemente concreta, grazie a un incontro fatto di condivisione e ascolto.

L’iniziativa è nata dal desiderio di far vivere luoghi di incontro che spesso restano inerti, segnati dall’indifferenza. Spazi che rischiano di diventare “non-luoghi”, ma che conservano la potenzialità di trasformarsi in soglie da attraversare, in porte aperte su mondi nuovi. Proprio così, le scalette della basilica di San Giuseppe Artigiano – frequentate dai parrocchiani, dai giovani che attraversano piazza San Biagio e dai clienti dei locali vicini – avrebbero dovuto essere il punto d’incontro per raccontare e raccontarsi. Ma, si sa, con la speranza non si può mai prevedere dove si finirà.
Complice il maltempo, l’evento si è spostato nel cortile del vicino palazzo Benedetti, che per l’occasione si è riempito non solo di numerosi avventori, ma anche di testimonianze preziose: raccontate, vissute, e persino cantate.
Tra i protagonisti c’era Fabio che, accompagnandosi con la chitarra e la voce, ha narrato cosa significhi per lui speranza, e come spesso l’abbia riconosciuta negli occhi del prossimo.
Poi c’era Dante che, nella tempesta della sua vita, quando tutto sembrava perduto, si è lasciato sorprendere dal realizzarsi di un barlume di speranza. Una speranza che diventa postura, che dà senso al dono di sé, anche quando sembra impossibile.

Durante la serata si è parlato anche di lavoro, attraverso l’esperienza di Salvatore, che ha raccontato di come spesso le “sberle” della vita possano aprire nuovi orizzonti, trasformando una ferita in occasione di rinascita.
A coordinare l’iniziativa è stato Tommaso Cotellessa, che ha condiviso la sua personale esperienza di speranza: una speranza che può superare anche le difficoltà più dure, tanto da dimostrare che «Una diagnosi non è una sentenza di morte».
A testimoniare come la speranza possa essere davvero per tutti, indistintamente, Lucia ha raccontato la storia della squadra aquilana di Baskin, uno sport inclusivo che unisce giocatori normodotati e persone con disabilità in un’unica squadra. Perché per gustare davvero la speranza, non ci si può sottrarre al gioco della vita.
Il microfono si è poi aperto al pubblico: Patrizio e Roberto hanno condiviso le loro storie personali, generando commozione, ma anche dimostrando con forza che, davvero, la speranza non delude.
A concludere l’incontro è stato Don Federico Palmerini, parroco di San Giuseppe Artigiano, che ha invitato a non confondere speranza e ottimismo, citando il teologo Dietrich Bonhoeffer, ha infatti affermato : «L’ottimismo è pensare che tutto andrà bene; la speranza è credere che tutto abbia un senso”. Un senso che resiste anche nelle situazioni più assurde, persino davanti alla morte.

La serata si è chiusa in un clima di gioia e leggerezza, ma anche con il compito – chiaro e condiviso – di essere portatori di speranza in una città, in un mondo e in una generazione che ne ha disperatamente bisogno.
L’invito finale è stato a non mancare al prossimo appuntamento, fissato per martedì 27 agosto alle ore 18:30 presso il convento di Santa Chiara, con l’iniziativa “I frutti sono maturi”, una serata ideata a partire dal tema: “Dalle radici della speranza alla cura della terra, per la rigenerazione del territorio.”