21 Agosto 2025 - 11:54:06
di Tommaso Cotellessa
Fare scuola per crescere, formarsi e informarsi. Questo è il motto che sottende la ricetta avanzata da Alleanza Verdi e Sinistra nell’ambito del diritto allo studio. Un motto però che è da intendersi nel senso più ampio possibile.
Fare scuola non solo ad uno studente o ad una classe, ma ad un intero territorio, formare non solo un singolo cittadino ma un’intera comunità, informare per indurre alla consapevolezza e alla partecipazione.
La prospettiva avanzata da Avs è infatti quella di chi quando parla di scuola intende un presidio sociale, culturale e di cittadinanza indispensabile per la tenuta di qualsivoglia comunità.
Proprio per questo motivo gli esponenti del partito segnalano con preoccupazione il dator elativo alla perdita di circa 4.000 studenti negli ultimi 10 anni nella sola provincia dell’Aquila. Un dato che, come spiegano gli stessi esponenti di Avs, pur non essendo il più elevato in termini assoluti tra le province abruzzesi, assume un significato particolare se si considera la natura del territorio: una provincia con la più alta percentuale di comuni montani d’Abruzzo, con una forte dispersione insediativa e un tessuto sociale legato in modo profondo alla presenza dei servizi pubblici di prossimità.
«A livello regionale, dal 2014/2015 al 2024/2025 – spiegano Fabrizio Giustizieri, Segretario Provinciale L’Aquila Sinistra Italiana AVS e Camilla Diamanti, membro Segreteria Provinciale L’Aquila Sinistra Italiana AVS – l’Abruzzo ha registrato oltre 20.000 studenti in meno. Questa flessione, che si inserisce in un trend nazionale di perdita media di circa 100.000 alunni l’anno, è il risultato combinato di calo demografico e politiche scolastiche che, a partire dai tagli del 2008 (DL 112/2008, L. 133/2008), hanno ridotto organici e risorse, aumentato il numero di studenti per classe e reso più difficile garantire inclusione e qualità didattica. Invece di ragionare sul come formare i nuovi italiani investendo in istruzione, si tagliano le risorse al sistema scolastico così da alimentare quella marginalità che genera problematiche utili a gonfiare le vele, e le urne, di chi propaganda, senza trovare soluzioni, slogan securitari. Infatti, secondo i dati di Openpolis l’Italia destina all’istruzione il 4,1% del PIL contro il 4,7% che rappresenta la media dei paesi aderenti all’Unione Europea».
È per questi motivi che, in Parlamento, Alleanza Verdi e Sinistra è impegnata con un’iniziativa legislativa che mira a riportare la scuola al centro della vita delle comunità, intervenendo su due fronti: qualità educativa e giustizia territoriale.
Le misure proposte prevedono:
- classi con non meno di 14 e non più di 20 alunni;
- tetto massimo di 18 studenti in presenza di un alunno con disabilità;
- riduzione a 15 se gli studenti con disabilità sono più di uno;
- potenziamento stabile del personale ATA, indispensabile per sicurezza, inclusione e gestione delle strutture;
- revisione dei criteri di “dimensionamento” per evitare accorpamenti forzati che allontanano il servizio educativo dai piccoli centri.
Questi interventi – spiegano Giustizieri e Diamanti – rappresentano una condizione minima per garantire il diritto allo studio e contrastare la dispersione scolastica, che nei territori più fragili si intreccia direttamente con lo spopolamento.
Per rendere realmente effettivo il diritto allo studio in questi territori servono politiche coordinate che superino la logica dei tagli e del “dimensionamento” calato dall’alto. In particolare:
- Trasporti scolastici efficienti: senza un sistema di mobilità pubblica che colleghi con frequenza e puntualità i comuni più isolati agli istituti superiori dell’Aquila, Sulmona e Avezzano, il diritto allo studio resta un diritto solo sulla carta. L’investimento in bus moderni, linee dedicate agli studenti e trasporti sostenibili è imprescindibile.
- Scuola come presidio territoriale: mantenere e rafforzare i plessi scolastici dei piccoli comuni, anche sperimentando modelli innovativi (classi con numeri ridotti, uso del digitale integrato, rete tra scuole vicine), significa non solo dare istruzione, ma preservare la comunità.
- Integrazione con altri servizi: scuola, sanità di prossimità, lavoro da remoto e agricoltura e allevamento a km zero non devono essere visti come settori separati, ma come pilastri di un unico progetto di rilancio delle aree interne. Una famiglia resta in un paese di montagna se può avere la scuola per i figli, un medico di base vicino casa, una connessione veloce per lavorare, servizi essenziali e una certa disponibilità di prodotti di qualità.
- Cultura e inclusione: nelle aree interne la scuola è spesso il principale luogo di socialità per i giovani. Garantire classi non sovraffollate, con attenzione particolare agli studenti con disabilità e ai bisogni educativi speciali, soprattutto quelli indotti dalla presenza di molti giovani stranieri, significa investire sul benessere psicologico e sulla coesione sociale delle nuove generazioni.
Per Alleanza Verdi e Sinistra occorre cambiare la visione delle cose: non più considerare la scuola un costo da comprimere ma una risorsa strategica per rigenerare i territori. Le aree interne della provincia dell’Aquila possono diventare un laboratorio di rinascita, dove l’istruzione di qualità si intreccia con nuove forme di sviluppo sostenibile e con il miglioramento della qualità della vita dei cittadini.
«Senza diritti di cittadinanza garantiti, non c’è sviluppo possibile. Senza infrastrutture materiali e digitali, parlare di rilancio è pura retorica. Le aree interne non sono un problema marginale, in alcuni casi da lasciar morire senza intervenire: sono lo specchio dell’ingiustizia territoriale italiana. Investire su di esse significa contrastare la crisi climatica, ridurre la pressione sulle città, valorizzare economie locali e garantire equità tra cittadini, ovunque vivano. L’abbandono non è una fatalità. Lo spopolamento non è inevitabile. Servono scelte politiche coraggiose, lungimiranti e complesse, così come complesse sono le realtà che intendiamo difendere e rilanciare. Il governo Meloni d’altronde preferisce portare la spesa militare al 5% del PIL, quindi ben oltre quanto spendiamo in istruzione: per noi il benessere di un Paese non si misura in carri armati ma in scuole, non si misura in mitra ma in numero di alunni per classe».