18 Ottobre 2025 - 17:53:55

di Vanni Biordi

Il dibattito sulla scuola italiana ha toccato un nuovo culmine di scontro ideologico. L’iniziativa assunta a L’Aquila, con la costituzione del “Tavolo per la Scuola Democratica” e il sit-in in Piazza Regina Margherita, non è un episodio isolato, ma l’ennesima manifestazione di un malcontento diffuso che attraversa sindacati, associazioni, docenti e studenti in tutto il Paese.

L’obiettivo della mobilitazione è chiaro e perentorio: chiedere il ritiro delle nuove Indicazioni Nazionali per la scuola, promosse dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara.

L’iniziativa organizzata in Abruzzo, a L’Aquila, vede unite forze eterogenee come FLC CGIL, ANPI, ARCI e diverse sigle studentesche ed evidenzia un punto nevralgico della critica: il timore di un’involuzione democratica e pedagogica. Le accuse sono pesanti. Si parla di una scuola che riduce la libertà di insegnamento, impone un modello «più selettivo e classista», e abbandona l’orizzonte di una «cittadinanza globale» in favore di una retorica che «esalta l’identità nazionale».

Queste nuove Indicazioni non sono percepite come un aggiornamento necessario, ma come un’operazione culturale che tenta di imporre una visione ideologica, trasformando l’istituzione scolastica in un «luogo di disciplina e controllo, non di crescita».

È un modello trasmissivo e nozionistico, che mal si concilia con i principi di una didattica moderna e inclusiva, orientata allo sviluppo critico e alla piena realizzazione di ogni persona. L’esclusione della partecipazione degli studenti e un percorso di adozione definito «unilaterale e frettoloso» non fanno che acuire il senso di un’imposizione calata dall’alto.

Un’analisi attenta, però, non può ignorare il peso istituzionale delle critiche. I promotori della protesta aquilana, così come i tavoli omologhi sorti in altre città, si appellano anche a un dato di fatto e, cioè, che le Nuove Indicazioni Nazionali sono state oggetto di seri rilievi da parte del Consiglio di Stato. La magistratura amministrativa, infatti, ha rimarcato l’incoerenza del testo rispetto ai principi costituzionali e agli atti dell’Unione Europea, sollevando dubbi sulla coerenza con la normativa e sulle conseguenze in termini di disuguaglianze, come nel caso dell’introduzione del latino facoltativo.

Anche se il Ministero sembra aver minimizzato parlando di una «normale interlocuzione», i giudici hanno di fatto richiesto una «rinnovazione complessiva dell’analisi preventiva di impatto», evidenziando carenze e lacune.

Questo “altolà” istituzionale rafforza l’argomentazione delle piazze. Una riforma di tale portata non può procedere ignorando sia il mondo della scuola che i rilievi tecnico-giuridici. Le nuove indicazioni, nel loro tentativo di recuperare una presunta «identità nazionale» e di enfatizzare una visione occidentale spesso etnocentrica, rischiano di distogliere l’attenzione dalle vere priorità del sistema educativo come il contrasto alla dispersione scolastica, il potenziamento dell’edilizia e l’investimento sulla professionalità docente e sulla continuità didattica.

La battaglia che si svolge nelle piazze, da L’Aquila a Roma, non è semplicemente contro un documento curricolare, ma per la difesa di una «Scuola della Costituzione». È la difesa di un’istituzione laica e plurale, fondata sull’Articolo 3 e sull’impegno a «rimuovere gli ostacoli» per il pieno sviluppo della persona. I promotori, che sperano in una crescente adesione di cittadini e associazioni, oggi hanno lanciato un messaggio inequivocabile: la scuola che emerge dalla visione del Ministro Valditara è una scuola che «non è gradita a chi la scuola la vive, la agisce, la frequenta».

L’iniziativa aquilana, con il suo sit-in informativo e il microfono aperto, è solo l’inizio di un percorso. La mobilitazione del Tavolo per la Scuola Democratica chiede che il Governo abbandoni la via dell’imposizione ideologica e apra un confronto autentico. Solo così, secondo i promotori dell’iniziativa, si potrà garantire una scuola che guardi al futuro, inclusiva e realmente meritocratica, e non una che volti le spalle ai principi di equità e libertà di insegnamento.