17 Novembre 2025 - 10:37:11
di Tommaso Cotellessa
Anche i comitati No Snam di Sulmona e L’Aquila hanno partecipato al Climate Pride, la grande manifestazione per la giustizia climatica che si è svolta a Roma il 15 novembre. Giunta alla sua seconda edizione, l’iniziativa ha visto l’adesione di oltre 80 organizzazioni ambientaliste ed è stata organizzata in parallelo ai negoziati della COP30 in corso a Belém, in Brasile. Proprio a Belém è presente una delegazione di attivisti italiani, tra cui Renato Di Nicola, coordinatore nazionale della campagna Per il Clima, Fuori dal Fossile.
Il corteo, partecipato da più di diecimila persone, ha attraversato il centro della capitale tra musica, performance artistiche e maschere raffiguranti animali minacciati dall’attuale crisi climatica. Una scelta simbolica per richiamare l’attenzione sulla perdita di biodiversità e sui rischi di estinzione che gravano su molte specie. Accanto alle denunce, però, anche numerosi cartelli di speranza e simboli del cambiamento, come pale eoliche e riferimenti alle energie rinnovabili, a sostegno di un nuovo modello economico sostenibile.
Tra gli interventi più significativi, quello di Emanuele Amadio, rappresentante dei comitati abruzzesi, che ha ribadito l’inutilità del grande gasdotto Linea Adriatica di Snam e della centrale di compressione prevista a Sulmona. Secondo i comitati, si tratta di opere imposte dal governo «per favorire gli interessi della multinazionale del gas», nonostante non risultino necessarie al fabbisogno energetico nazionale.
Amadio ha ricordato anche i rischi legati alla localizzazione delle infrastrutture: «Questi impianti vengono realizzati in aree ad altissimo rischio sismico, aumentando i pericoli per la popolazione». A ciò si aggiunge il forte impatto ambientale, tra cui l’abbattimento di oltre due milioni di alberi lungo la dorsale appenninica e la distruzione della vasta area archeologica di Case Pente, alle porte di Sulmona.
Il Climate Pride è stato anche un momento di forte denuncia contro il sistema fossile, definito «estrattivista e coloniale», ritenuto responsabile non solo della crisi climatica ma anche di tensioni geopolitiche e conflitti armati. Non a caso, si è ricordato come molte guerre in corso – come quelle in Ucraina e in Palestina – scoppino in territori ricchi di risorse energetiche come petrolio e gas.
Gli attivisti hanno sottolineato il legame indissolubile tra giustizia climatica, giustizia sociale, pace e diritti umani: «Non si può lottare per uno di questi obiettivi ignorando gli altri». In questo quadro sono stati criticati atteggiamenti negazionisti, come quelli del presidente statunitense Donald Trump, e la recente marcia indietro dell’Unione Europea sul Green Deal, accompagnata da una crescente spesa in riarmo che, secondo i manifestanti, sottrae fondi cruciali alla transizione ecologica e ai bisogni primari della popolazione.
Per le associazioni promotrici, il Climate Pride rappresenta solo una tappa di un percorso più lungo: le mobilitazioni proseguiranno nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Obiettivo: rafforzare il coinvolgimento dei cittadini e costruire una pressione dal basso capace di contrastare «l’enorme potere delle lobby dei fossili e degli armamenti», che condizionano le agende politiche ed economiche nazionali.
Il messaggio conclusivo è chiaro: senza una mobilitazione collettiva e senza la fine della criminalizzazione del dissenso, non sarà possibile affrontare la crisi climatica con la rapidità e la radicalità richieste dall’emergenza in corso.
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