18 Novembre 2025 - 09:38:15
di Redazione
A Villa Sant’Angelo la riscoperta degli spettacolari cunicoli ipogei che un tempo accumulavano acqua, si ipotizza, per l’importante città romana di Frustenias, a Poggio Picenze fari accessi sulla cultura materiale del popolo dei Vestini, a Tione degli Abruzzi sul Trittico dell’ignoto Maestro, conosciuto come di Beffi, ma in realtà proveniente dalla Collegiata di Santa Maria del Ponte, il Polittico manifesto del francescanesimo a San Panfilo d’Ocre. La presentazione a Sant’Eusanio Forconese del documentario realizzato assieme agli abitanti dalla regista di origini iraniane Rokhsareh Ghaemmaghami.
Si avvia alla conclusione, non lesinando sorprese, momenti di arte comunitaria e conoscenza, il progetto Arca – Arte, Rigenerazioni, Comunità, Abitare -, finanziato dai fondi Restart, che coinvolge 11 comuni del cratere sismico aquilano, e 14 artisti internazionali con ideazione e direzione artistica di Silvia Di Gregorio, con partner, oltre agli 11 Comuni, il Teatro stabile d’Abruzzo, il Munda, il Maxxi L’ Aquila, l’Università dell’Aquila, The Current -Center for contemporany art, cooperativa AppStartOnlus e Comunità 24 Luglio.
A Sant’Eusanio Forconese Rokhsareh Ghaemmaghami, regista pluripremiata, ha presentato con una proiezione sulla facciata del palazzo Barberini, il video realizzato nel laboratorio con gli stessi abitanti. Tra le testimonianze quelle di Gianni lo ‘storico’ del paese, che cita Gabriele D’Annunzio «quando un paese perde la memoria muore», e Cesare Pavese, «un paese è li anche quando non ci sei». Elena, emigrata a Detroit e legatissima al paese in cui torna ogni anno, ricorda il mulino di famiglia, l’ occupazione tedesca e le tradizioni locali legate al matrimonio, la storia della sua partenza in America. Mario racconta della “fiera delle forche”, della sua storia di migrazione in Francia, della vita quotidiana quando il paese era pieno di gente, negozi e di vita, e i campi erano tutti coltivati e di quando ballava la pupazza pirotecnica. Infine la Sant’Eusanio che verrà, come la immaginano e sognano gli abitanti prende forma con l’ausilio dell’Intelligenza artificiale, e le piazze si riempiono nuovamente di bambini, riaprono i battenti le botteghe, tornano i contadini a fare mercato.
«Qui ho imparato qualcosa sulle montagne, sulla gente della montagna e su come la montagna forgia le persone – ha detto Rokhsareh Ghaemmaghami -. E ho capito l’importanza che ha per il futuro di questi paesi l’essere aperti, agli stranieri come a nuove idee. Il mondo della tradizione non tornerà: bisogna cercare nuove strade».
Ha aggiunto la sindaca Deborah Visconti: «L’aspetto più positivo di questa esperienza è l’impatto che ha avuto sui cittadini del mio paese, la grande partecipazione alle attività svolte. Mi auguro che questa non sia la chiusura, ma l’inizio di un’attività volta al recupero del patrimonio immateriale di questa terra e alla ricostituzione del suo tessuto sociale».
Rokhsareh Ghaemmaghami nella sua permanenza in terra d’Abruzzo ha poi partecipato all’AQfilmfestival, con la proiezione del film “Sonita” che ha vinto il gran premio della giuria e il premio del pubblico al Sundance Film Festival 2016. Dedicato alla storia di Sonita Alizadeh, rapper e attivista afghana, e che denuncia l’orrore dei dei matrimoni forzati imposti anche a bambine dalle famiglie, in cambio di denaro. Proiezione replicata, con intenso dibattito a seguire, anche al Liceo Artistico alla presenza di 120 studenti.
Proseguono parallelamente gli incontri del Munda, nei singoli paesi e territori, questa volta a Villa Sant’Angelo, Poggio Picenze e Tione degli Abruzzi.
A Villa Sant’Angelo l’incontro è stato l’occasione per fare un focus sul patrimonio di ” letti d’ osso” provenienti dal territori e custoditi ora nel Museo ma anche e soprattutto su un’opera straordinaria di epoca romana, la Fonte Vecchia, struttura idraulica ipogea dalle caratteristiche megalitiche.
Hanno relazionare al fianco del sindaco Domenico Nardis, l’archeologo del Munda Fabio Paglia, Giovanni Damiani, biologo, ex assessore regionale ed ex direttore generale dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, oggi Ispra, e monsignor Orlando Antonini, arcivescovo e nunzio apostolico originario di Villa Sant’Angelo.
«Parliamo di tecniche di idraulica antiche, basate su cunicoli scavati sotto terra – ha detto Damiani -. Quella di Villa Sant’Angelo è una trincea drenante, con due cunicoli, risalente al IV secolo avanti Cristo, che raccoglie l’acqua che si è infiltrata nel suolo a monte. Noi ci accorgiamo solo dell’acqua che esce dalla fontana di Fonte Vecchia. Ma sottoterra c’è un’opera straordinaria, per l’età, per il tipo di tecnologia utilizzata, con grandi massi a copertura, veri e propri megaliti. Ora sarebbe opportuno valorizzarla, nella conservazione e nel restauro, rendendola visibile e fruibile, senza assolutamente rovinare nulla, e garantirne la sua piena funzionalità. Perché un giorno quell’acqua potrebbe tornare molto, ma molto preziosa».
A conclusione ha aggiunto monsignor Antonini: «A Villa Sant’Angelo abbiamo resti altomedievali nell’ex chiesa parrocchiale di San Michele, resti scultori di epoca longobarda e anche resti romani che ci fanno capire che qui c’era qualcosa di importante, andato perduto. E a rafforzare questa ipotesi sono proprio i cunicoli. Un lavoro del genere non si spiega infatti se non ci fosse stato qui vicino un insediamento di grandi dimensioni. Io ho fatto già l’ipotesi che possa essere la città di Frustenias, di cui non si conosce ancora la localizzazione. Non era importante come Amiternum, ma non era certo un piccolo borgo, e aveva dunque bisogno di un importante approvvigionamento idrico».
A Poggio Picenze invece l’archeologo Paglia ha affrontato l’altrettanto affascinante tema del popolo dei Vestini e dei materiali dei contesti funerari.
L’intervento ha permesso di fornire un quadro della cultura materiale del popolo italico attraverso la presentazione dei diversi tipi di sepoltura databili tra l’età del ferro e l’età imperiale romana, passando poi all’analisi degli oggetti dei corredi funerari, con particolare riferimento al consumo del vino e alle caratteristiche specifiche del costume maschile (armi) e femminile (abbigliamento e monili). Sono stati messi in luce i rapporti e le differenze con gli altri popoli del mondo antico, sottolineando la presenza di oggetti di lusso di provenienza esotica che servivano a distinguere lo status sociale del defunto, come ceramiche fini di produzione greca e collane, pendenti e unguentari in vetro provenienti dal Mediterraneo orientale. Si è anche discusso ancora della produzione locale dei letti funerari in osso, rinvenuti in grande numero nel territorio abruzzese, e dei loro legami con la mitologia e con la sfera del sacro.
A Tione degli Abruzzi, il funzionario critico dell’arte del Munda, Daniele Lauri, al fianco della sindaca Stefania Mariani, ha tenuto una lezione su uno dei capolavori assoluti ospitati nel museo, il Trittico di Beffi, che proviene dalla Collegiata di Santa Maria del Ponte, frazione di Tione degli Abruzzi, realizzato, si presume, intorno al 1410, di autore ignoto, e a tal proposito la studiosa Cristiana Pasqualetti ha ipotizzato che potesse trattarsi del magister Leonardus de Teramo pictor, Leonardo da Teramo. Un nome, Trittico di Beffi, frutto di un errore di attribuzione antico, accettato e utilizzato anche dal noto storico dell’arte Ferdinando Bologna e da allora entrato nel linguaggio storico artistico.
«Un errore che si è sedimentato e storicizzato – conferma Lauri -, ma Il Munda ricorda sempre che in realtà proviene da Santa Maria del Ponte. Cambiare denominazione rappresenterebbe però, dopo un secolo, un oggettivo problema di riconoscibilità».
Nella Collegiata il Trittico era posizionato sull’altare dentro una cornice lignea quadrata, parzialmente coperto da un tabernacolo e dal set di candelieri d’altare. Posizione che ha causato danni alla pellicola pittorica e al supporto per via degli urti e del variare delle condizioni di temperatura e di umidità.
«Un autentico capolavoro, una delle maggiori opere d’arte tardogotica in Abruzzo, sia per la complessa iconografia sia per l’alta qualità della esecuzione – ha proseguito Lauri -. Il trittico è suddiviso in tre scene: la Madonna con Bambino in trono e due angeli reggicortina al centro, la Natività con l’Annunciazione e l’Adorazione dei pastori a sinistra e la Dormitio Virginis con l’Incoronazione a destra. La figura inginocchiata in primo piano nel pannello a sinistra è probabilmente il committente dell’opera».
Il Trittico, ha aggiunto lo storico dell’arte, «è testimonianza di un momento felice dell’arte abruzzese, per cui sono stati individuati influssi della pittura senese. Presenta una particolare attenzione ai dettagli, per esempio nel prato ai piedi della Madonna in trono, il broccato del manto della Vergine. L’artista era anche minatore e grandi analogie ci sono con i fogli staccati dall’Antifonario Acquaviva. Una scena identica è quella della natività, la grotta realizzata scavata nella roccia al centro di una montagnetta, la capanna al di sopra, la posizione dei pastori e del cane rappresentati a destra, oppure Giuseppe ritratto assorto vicino la sella».
«Il bagno del bambino richiama testi apocrifi, ed evoca il primo miracolo di Gesù, quello della levatrice incredula. Salome che non credeva alla verginità di Maria. Ci sono alcune analogie con le illustrazioni di manoscritto parigino delle Meditationes vitae Christi, proveniente dall’area toscana, per quello che riguarda l’impostazione della scena, la Madonna che tiene Gesù in braccio, la sella vicino a San Giuseppe seduto in terra appoggiato al bastone. Sembra che il maestro del Trittico di Beffi abbia visto questo manoscritto, o conoscesse simili raffigurazioni. Nella scena della morte della Madonna c’è il riferimento ad un altro miracolo, tratto dai testi apocrifi del Transito della Vergine: l’ebreo Ruben a cui si seccano le mani per aver provato a ribaltare il feretro della Vergine», ha concluso lo storico.
Nel municipio di San Panfilo d’Ocre incontro infine dedicato al “Il Polittico di Sant’Angelo d’Ocre e il Maestro dei Polittici Crivelleschi nell’Abruzzo del XV secolo” a cura sempre di Daniele Lauri, introdotto dal sindaco Gianmatteo Riocci, su un chiaro emblema dell’importanza del cenobio per l’ordine osservante, posto in un’area montana come quella aquilana, inserita all’interno di una rete di relazioni con gli altri conventi sparsi nei territori abruzzesi da un versante all’altro della catena appenninica, realizzato per il soppresso Convento di Sant’Angelo d’Ocre, oggi conservato presso il Museo Nazionale d’Abruzzo, con al centro la Vergine in trono col Bambino, affiancata da santi legati all’ordine francescano, come San Francesco d’Assisi, San Bonaventura da Bagnoregio, San Bernardino da Siena e Giovanni da Capestrano.
«Esaminando l’opera in relazione con la più ampia produzione di polittici dell’anonimo maestro attivo in Abruzzo alla fine del XV secolo – ha spiegato Lauri -, si ravvisa una precisa coincidenza iconografica e stilistica, sia nella scelta dei santi che nella loro posizione all’interno delle opere, le connessioni e i collegamenti teologico agiografici, la predilezione per un sempre identico modello tipologico formale di polittico, che presuppone anche la realizzazione di un supporto sempre uguale funzionale alla narrazione».
Ha aggiunto Lauri, «c’è un legame tra queste opere e la fraternità osservante francescana: i santi raffigurati non sono casuali, ma rispondono a specifiche esigenze di identità e devozione dell’ordine. I polittici d’altare diventano veri e propri “manifesti” visivi del culto francescano nel territorio abruzzese, capaci di veicolare ideali, modelli di santità e appartenenza comunitaria, oltre ad assolvere quella funzione propagandistico devozionale e didattica propria delle immagini religiose».
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