02 Dicembre 2025 - 10:07:39
di Redazione
«L’ultima aggressione nel carcere dell’Aquila, riportata dalla stampa locale, è solo l’ennesimo episodio che conferma una realtà ben nota a chi lavora in sanità penitenziaria: i medici sono esposti a rischi continui, spesso senza adeguate tutele. Pugno in volto, insulti e minacce. Una dinamica in cui medici e operatori sanitari sono esposti a rischi purtroppo ricorrenti, ma che non sembra avere prodotto alcun cambio di rotta da parte dell’Asl».
Lo scrive in una nota il dottor Giacomo Pio, responsabile Area penitenziaria del Sindacato medici italiani Abruzzo.
«L’azienda sanitaria, infatti, in accordo con l’amministrazione penitenziaria, ha definito già come idonei alla pratica clinica gli ambulatori situati dentro le sezioni detentive, spazi dove l’assenza di barriere fisiche o vie di fuga trasforma ogni visita in un potenziale rischio. Una valutazione che contrasta apertamente con l’esperienza quotidiana dei professionisti che vi operano», aggiunge.
«Il malessere dei medici nasce anche dalle scelte aziendali che calano dall’alto da parte di chi non ha mai messo piede in un ambulatorio penitenziario e che per nulla vengono incontro ai medici, neanche in sede di confronto sindacale – precisa – Le richieste di garantire diritti minimi come ferie, malattia, copertura in caso di assenza improvvisa (compresa una possibile aggressione) e una reperibilità organizzata vengono sistematicamente respinte. Questo fa sì che un medico quando viene aggredito non può nemmeno lasciare il posto di lavoro e ricevere assistenza medica, perché nessuno può sostituirlo. Ma non solo: si profila per i medici penitenziari addirittura la possibilità di una decurtazione fino a un terzo della retribuzione, giustificata dalla mancanza dei fondi».
«Il risultato è un clima di sconforto professionale e forte demotivazione. Chi lavora in carcere svolge un servizio essenziale e delicato, spesso in condizioni limite, con una responsabilità clinica e umana enorme. Venire gettati in locali detentivi, senza via d’uscita, che per la ASL sono “ambulatori idonei” mentre la realtà quotidiana è che si viene aggrediti durante l’esercizio della propria professione, e vedersi negati diritti che in qualsiasi altro contesto sanitario sono la normalità, manda un messaggio preciso: la sicurezza e la dignità degli operatori di sanità penitenziaria non sono considerate una priorità».
Il Sindacato medici italiani esprime solidarietà e vicinanza al collega «vittima dell’ennesima aggressione, ma, affinché possa essere l’ultima, le richieste che avanza alla Regione e alla Asl sono semplici: riconoscere la specificità della medicina penitenziaria, garantire condizioni di lavoro sicure, riconoscere le tutele ai professionisti che ogni giorno entrano nelle sezioni detentive per assicurare ai detenuti il diritto fondamentale alla salute. Senza questo passo, le aggressioni continueranno a essere archiviate come episodi isolati, mentre il sistema rischia di perdere chi lo tiene in piedi».
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