03 Febbraio 2024 - 11:34:35

di Tommaso Cotellessa

Temi caldi e cruciali legati alla resilienza ai disastri naturali e antropici, alle strategie di prevenzione, alla gestione dei rischi e allo sviluppo sostenibile sono stati quelli affrontati nella conferenza pubblica “Resilienza ai Disastri e Sviluppo Sostenibile” tenutasi presso il Centro Congressi dell’Università degli Studi di Napoli Federico II nei giorni 1 e 2 febbraio 2024. L’incontro, promosso dal centro “Territori Aperti” dell’Università degli Studi dell’Aquila, in sinergia con SoBigData RI e in collaborazione con l’Ateneo napoletano, ha visto la partecipazione di università ed enti di ricerca e di rappresentanti di diverse istituzioni nazionali e internazionali attive sul tema della resilienza ai disastri.

La conferenza ha mostrato i risultati e le attività di “Territori Aperti”, il centro interdisciplinare nato dalla collaborazione tra il Comune e l’Università degli Studi dell’Aquila, grazie a un finanziamento del Fondo Territori Lavoro e Conoscenza, costituito con una sottoscrizione tra i lavoratori iscritti ai sindacati CGIL, CISL e UIL, presenti con i propri rappresentanti a Napoli. Il rettore dell’Università dell’Aquila, Edoardo Alesse, ha espresso pieno sostegno per il prosieguo della ricerca e della formazione condotte da “Territori Aperti”, suggerendo che questa realtà potrebbe diventare, a pieno titolo, uno dei centri permanenti dell’università.

Il focus dell’incontro è stato l’approccio della open science, della data science e della partecipazione informata dei cittadini alle scelte delle comunità di fronte ai disastri e ai processi di ricostruzione urbana, sociale ed economica. Antinisca Di Marco, docente dell’Università degli Studi dell’Aquila e responsabile dell’infrastruttura tecnologica, della comunicazione e della formazione di “Territori Aperti”, ha sottolineato l’impegno del centro nel progettare soluzioni, approcci e strategie, nel pieno rispetto degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile: “Durante i disastri, è importante raccogliere e analizzare i dati essenziali – ad esempio su salute, smart city, mobilità delle persone – e poi riusare tutti i dati a disposizione per allenare modelli predittivi e fare analisi basati su scenari realistici”, ha detto Di Marco. “Nell’ottica di uno sviluppo sostenibile e per analizzare meglio i fenomeni dei disastri, riutilizzare dati esistenti per la riduzione del rischio di catastrofi, permette di ottimizzare risorse e studiare situazioni già note, osservandone l’evoluzione nel tempo grazie a modelli di predizione basati sull’intelligenza artificiale sempre più accurati ed efficienti”.

La conferenza di Napoli ha illustrato i principali risultati di ricerca ottenuti in cinque anni di attività dal centro “Territori Aperti” nel campo delle tecnologie digitali e della data science, nonché su tutte le principali sfide che affrontano le comunità esposte ai rischi di disastri, includendo aspetti giuridici, sociologici, economici, di ingegneria civile, di pianificazione territoriale e urbana e di organizzazione dei sistemi sanitari. Donato Di Ludovico, docente dell’Università degli Studi dell’Aquila e coordinatore del Master in Management tecnico-amministrativo post-catastrofe negli enti locali, ha presentato il Toolkit Disaster Preparedness, uno strumento innovativo che mette a disposizione delle comunità interessate informazioni qualitative sulle buone pratiche e sugli errori commessi in altre aree colpite da calamità.

Tra gli esperti e i rappresentanti istituzionali che hanno preso parte alla conferenza: Luigi Bertinato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Eugenio Coccia, Presidente della Commissione Grandi Rischi; Raffaello Fico, a capo dell’Ufficio Speciale per la Ricostruzione dei Comuni del Cratere; Giovanni Legnini, Commissario straordinario sisma ed emergenza Ischia; Sabrina Lucatelli, Direttrice dell’associazione “Riabitare l’Italia” e rappresentante OCSE; Antonio Mistretta dell’Istituto Superiore di Sanità, Titti Postiglione  Vice Capo del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri e  Michele Talia, Presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica. “L’approccio che stiamo coltivando sull’isola di Ischia, in un contesto multirischio, è quello dell’integrazione tra il processo di ricostruzione post sisma e post frana e la mitigazione del rischio idrogeologico, tenendo conto degli effetti dei cambiamenti climatici”, ha spiegato Legnini aggiungendo che “La forte alleanza tra la scienza e la tecnologia digitale e le istituzioni chiamate a compiere le scelte urbanistiche può essere la chiave di volta per rendere davvero possibile una delle ricostruzioni più difficili e complesse”.

“Il futuro nella prevenzione dei rischi naturali e della protezione sul territorio, passa attraverso la collaborazione tra scienziati, ingegneri, autorità e comunità locali con il coordinamento della Protezione Civile”, ha detto Eugenio Coccia. “Oggi, il monitoraggio e la previsione avvengono non solo con gli strumenti tradizionali ma anche con quelli più moderni e potenti – come le osservazioni dallo spazio e il supercalcolo – per poter modellizzare e cercare di prevedere cosa accadrà su una determinata area. Quello che si sta costruendo è una maggiore conoscenza ma anche una rete di collaborazioni a tutela del territorio. L’Italia, territorio bellissimo ma fragile, in questo campo è all’avanguardia”. Sempre dal Presidente della Commissione Grandi Rischi: “La consapevolezza delle nostre istituzioni viene da esperienze vissute. Dal terremoto dell’Aquila e dai recenti eventi catastrofici, abbiamo imparato quanto è importante il coordinamento e l’attività della protezione civile nazionale, le forze come quelle dei vigili del fuoco e del volontariato, l’intesa tra enti locali e una legislazione aggiornata che tenga conto delle esperienze per non ricominciare ogni volta da capo”. L’incontro di Napoli ha offerto anche un’occasione per valorizzare i collegamenti tra “Territori Aperti” e altri progetti di ricerca nazionali e internazionali: Roberto Trasarti, dell’ISTI-CNR di Pisa, ha presentato l’infrastruttura di ricerca europea SoBigData, su cui si fondaquella di “Territori Aperti”, sono stati illustrati”. Inoltre, i progetti del Centro Nazionale di Ricerca in High Performance Computing, Big Data e Quantum Computing, realizzato e gestito dalla Fondazione ICSC, sono stati presentati da Paola Inverardi, coordinatrice del Board degli Spoke di ICSC e rettrice del GSSI, e da Alessandra De Benedictis, della “Federico II”. Infine, le attività del Consorzio High-Performance Computing for Disaster Resilience (HPC4DR) sono state illustrate da  Lelio Iapadre, coordinatore di “Territori Aperti” e Presidente del Consorzio HPC4DR, il quale ha più volte sottolineato nel corso della conferenza come il punto di forza di “Territori Aperti” sia stata, sin dall’inizio, la condivisione sociale dei risultati delle ricerche e ha evidenziato la necessità di diffondere e mettere in rete gli strumenti, le conoscenze e le competenze scientifiche e tecnologiche per affrontare le sfide legate ai disastri non solo a livello locale .

“Temi di grande interesse e attualità, trasversali, che riguardano diversi territori. Questi problemi complessi, si possono affrontare solo con l’innovazione e un’ampia collaborazione. Inoltre, mi piace molto il nome del progetto”, ha affermato il rettore dell’Università Federico II di Napoli, Matteo Lorito.
“Abbiamo pensato al nome “Territori Aperti” per sottolineare l’idea che l’apertura internazionale – in termini di scambi commerciali e di attrazione di persone, di idee e di risorse – sia un volano per la crescita sostenibile e il progresso sociale dei territori colpiti da disastri. La tentazione di chiudersi a protezione delle identità locali sarebbe, invece, una pericolosa tossina”, ha spiegato Iapadre, docente dell’Ateneo aquilano.

Il convegno ha offerto un’analisi approfondita delle fasi di ricostruzione post-sisma, con particolare attenzione agli impatti territoriali, sociali, economici e sanitari delle catastrofi. Di rilievo le testimonianze legate alle esperienze del terremoto del 2009 all’Aquila – di cui quest’anno ricorrono 15 anni – e al successivo processo di ricostruzione, tuttora in atto; alla pianificazione urbanistica delle aree vulnerabili ed esposte come quella dei Campi Flegrei; alla pandemia da Covid-19; alla comunicazione del rischio e ai protocolli di gestione delle emergenze; ai danni correlati agli eventi climatici estremi.

Proprio il costo dei danni causati dai cambiamenti climatici è stato il focus della relazione di Ilan Noy, economista di fama internazionale che utilizza la metodologia dell’Attribuzione degli eventi estremi (Extreme event attribution, Eea) per esaminare come le emissioni di gas serra influiscono sul verificarsi di specifici eventi meteorologici estremi. “Nella maggior parte del mondo la questione non è più se esista il cambiamento climatico; ormai abbiamo evidenze ed esperienze dirette”, ha detto Noy. “La questione ora è: i danni e i costi dei fenomeni legati alla crisi climatica sono molto più alti di quanto pensavamo”. L’esperto ha analizzato il costo globale degli eventi meteorologici estremi negli ultimi 20 anni: quelli attribuiti alla crisi climatica ammontano a circa 135miliardi di euro all’anno. “Molto più dei 100miliardi previsti annualmente dai governi per le varie azioni di mitigazione e prevenzione”, ha detto Noy, oggi docente al GSSI. “E in futuro, il costo dei danni potrà essere molto maggiore e si dovranno rivedere i finanziamenti necessari per creare un fondo per coprire i danni ambientali, soprattutto nei paesi più vulnerabili, che, in molti casi, coincidono con quelli più poveri. Non dimentichiamo poi gli altri costi sociali legati al cambiamento climatico, quelli in termini di perdita di vite umane e di danni psicologici e traumi legati agli effetti dei disastri naturali che si trasmettono di generazione in generazione”.