08 Febbraio 2024 - 12:02:38

di Tommaso Cotellessa

L’Anpi dell’Aquila si prepara a celebrare il Giorno del Ricordo con una riflessione sul dramma delle Foibe e il Fascismo sul confine orientale, in programma un incontro pubblico e un omaggio al Cimitero monumentale della città.

L’associazione ha organizzato per l’occasione un momento di riflessione all’interno del quale interverranno Riccardo Lolli e Davide Adacher, entrambi esponenti dello Iasric e dell’Anpi l’Aquila, questo il convegno avrà luogo Venerdì 9 febbraio ore 17.30, nell’Auditorium CGIL

Un secondo momento di riflessione si terrà nella mattinata di sabato 10 febbraio alle ore 11.30 presso il Cimitero Monumentale dell’Aquila, dove si renderà omaggio alla tomba del partigiano slavo caduto per la
liberazione dell’Aquila e quella del partigiano aquilano che combatté per la liberazione della Jugoslavia.

Di seguito la nota dell’Anpi

Il dramma delle Foibe fu una tragica, feroce violenza che colpì l’Istria e la Venezia Giulia dove il fascismo dal 1919 aveva messo in atto una “pulizia etnica” tesa ad eliminare completamente i non italiani da un territorio multietnico e scatenò repressioni tremende invadendo la Jugoslavia nel 1941. Con la successiva invasione nazista, in Jugoslavia morì un milione di persone su neppure 15 milioni di abitanti
In quei luoghi la violenza, esplosa già nella prima guerra mondiale, raggiunse livelli estremi e in questo scenario si collocano le Foibe del 1943 e del 1945.
Mussolini a Pola nel 1920 disse: “Di fronte a una razza inferiore e barbara come la slava non si deve inseguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone”.
L’odio fascista verso gli sloveni scatenò aggressioni, incendi, omicidi, violenze d’ogni genere.
Poi l’invasione della Jugoslavia e l’annessione della provincia di Lubiana al Regno d’Italia rappresentarono una nuova tappa della violenza; dal 1941 in poi si scatenò lo “squadrismo di guerra” contro gli sloveni, i croati, gli antifascisti e la comunità ebraica, con un crescente “furore repressivo” nella Jugoslavia occupata.
In Slovenia durante l’occupazione nazifascista ci furono 4.000 ostaggi fucilati, 1.900 torturati o arsi vivi, 1.500 morti nel campo di concentramento di Arbe, migliaia di internati a Gonars e in Veneto. Nel campo di concentramento della Risiera di San Sabba a Trieste i nazisti allestirono l’unico forno crematorio in Italia, nel quale vennero bruciati i corpi di 5.000 persone, civili e resistenti sloveni, croati, italiani ed ebrei.
È tristemente nota l’agghiacciante circolare del generare Roatta di applicare il principio “testa per dente” imponendo rappresaglie di inaudita violenza in risposta alla disubbidienza slovena, e l’ammonimento del generale Robotti che lamentava: “Si ammazza troppo poco”.
Dopo l’8 settembre del ’43, all’occupazione fascista di Lubiana subentrò l’occupazione tedesca con effetti perversi che peseranno negli anni successivi.
Di fatto, la complessa, drammatica vicenda del confine orientale è un crogiolo di violenze d’ogni genere, rancori politici e personali, vendette motivate o immotivate, in un clima da “resa dei conti” che spiega perché – insieme alla grande maggioranza di italiani – vi siano state vittime slovene e persone vicine al Comitato di Liberazione Nazionale triestino e goriziano.
Ci furono anche esecuzioni sommarie, che furono una feroce vendetta in risposta ai crimini italiani nella regione che proseguivano da un ventennio (tanto che molti degli autori di questi atti vennero poi processati dagli stessi partigiani).
Nel fuoco di questa furia maturò il dramma delle Foibe giustamente oggi stigmatizzato alla luce della ricerca storica, del rispetto per i familiari delle vittime, della più generale tragedia che gli italiani e gli sloveni vissero in quegli anni, del successivo dramma biblico dell’esodo.
Così va riconosciuta e inquadrata quella tragedia storica, senza equiparare Foibe e Shoah, senza paragoni con crimini come il genocidio.
Ricordare tutto, dunque, non solo è necessario per la verità storica, ma è un dovere per la formazione civile degli italiani, e per promuovere, oggi più che mai, la democrazia nella Repubblica nata dalla Resistenza.