De Amicis sull’ Autonomia differenziata, gli effetti negativi sull’Abruzzo

14 Febbraio 2024 - 11:52:06

È inutile ritornare sulla riforma del Titolo V della Costituzione voluta
pervicacemente dal centro sinistra per arginare la forte ascesa della
Lega. Forse dovremmo ragionare sul senso della storia. Storia che
affonda dentro le dinamiche degli ultimi quarant’anni e che ha visto il
nostro Paese oggetto di pesanti interventi da parte di Paesi stranieri,
per distruggere la grande capacità industriale e mettere all’angolo la
forza di un movimento operaio e democratico unico in Occidente.

La proposta dell’Autonomia differenziata trae ispirazione da questa
storia. È l’atto finale per parcellizzare, polverizzare, quello che
rimane di questo disgraziato Paese. L’autonomia differenziata è stata
partorita e voluta dalla Lega lombarda, dalla maggioranza governativa e
da uomini potenti del Pd del Nord.

Già nel 2021 la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto
un valore di 4,25 miliardi, cifra nettamente superiore a quella del 2020
(3,33 miliardi di euro), con saldi estremamente variabili tra regioni
del Nord e quelle del Sud.

L’attrazione maggiore della migrazione della salute si proietta verso
l’Emilia Romagna Lombardia e Veneto. Le Regioni capofila dell’autonomia
differenziata, raccolgono il 93,3% del saldo attivo mentre il 76,9% del
saldo passivo si concentra in Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Puglia
e Sicilia.

Fra poco l’Abruzzo andrà alle urne. Da tenere presente che la spesa
sanitaria è quella più consistente e corposa e, tuttavia, la
disponibilità della stessa è sempre concentrata affinché il sistema
complessivo ruoti intorno a quel concetto di sanità come servizio e non
come un diritto universale.

In buona sostanza, sarà sempre un’azienda e dove essa segnerà
deficienze, il cittadino può sempre scegliere se ha i soldi per fare la
mobilità sanitaria. Questo fenomeno ha delle implicazioni sanitarie,
sociali, etiche ed economiche che riflettono le diseguaglianze tra le
stesse regioni ma soprattutto tra quelle meridionali e quelle del Nord.

Anche dentro il Nord, però, vi sono contraddizioni e frizioni. Regioni
come Piemonte e Liguria risentono molto della recente
deindustrializzazione e di una forzata egemonia di sviluppo votata
esclusivamente sul terziario ma il cui sbocco è solo un collo di
bottiglia. È del tutto evidente che il gap tra alcune regioni del Nord e
il Sud in generale si va sempre più divaricando finendo per essere
strutturale. L’unità del Bel Paese è nei fatti finita e le alchimie
istituzionali non serviranno a nulla. Forse solo a guadagnare tempo.

E la balcanizzazione della sanità non porterà più soldi a Zaia piuttosto
che a Bonaccini o al presidente della Lombardia (il termine governatore
è alquanto ridicolo. Potrebbe andare bene se fossimo una vera Nazione,
ma visto la mala parata di tante piccole regioni – ognuno per sé –
sarebbe meglio avere più senso della realtà), gli enormi introiti della
mobilità sanitaria andranno ai grandi gruppi finanziari che si sono
riciclati e che negli ultimi anni ha spostato i loro investimenti da
attività produttive tradizionale e classiche a settori come quelli della
salute, che vista l’età media dell’Italia questa scelta risulta essere
alquanto remunerativa.

Questo atto finale non sarà solo la tomba del Sud ma l’attacco finale ai
risparmi e al salario diretto e differito del popolo del Nord Italia.
Potrebbe essere la fine della cosiddetta seconda repubblica. Per quanto
possibile, e perché lo riteniamo giusto difendiamo un Diritto Universale
acquisto negli d’oro di questo Paese la Riforma di Tina Anselmi sulla
Sanità Pubblica. Con più occupazione e di qualità, meno file al Cup, più
medici ospedalieri, più infermieri, più lavoratori negli altri settori,
più sanità di prossimità.