18 Giugno 2024 - 11:11:59

di Martina Colabianchi

Il Rettore dell’Università dell’Aquila Edoardo Alesse non si è presentato alla conferenza stampa indetta per questa mattina da studenti e studentesse pro Palestina a fronte di quattordici giorni di “acampada”.

L’incontro era stato voluto dai manifestanti per discutere delle istanze che, da due settimane ininterrottamente, spingono gli Studenti per la Palestina a non lasciare lo spazio antistante l’edificio di Scienze Umane, in pieno centro storico dell’Aquila.

Un incontro informale con lo stesso Rettore aveva già preceduto la conferenza di oggi, ma i rimostranti si erano detti insoddisfatti dalle risposte di Alesse che aveva invitato gli studenti a rivolgere le proprie istanze in Senato accademico e che, allo stesso momento, aveva ribadito la non volontà di cessare la collaborazione con la società Leonardo, definita “azienda bellica” dai pro Palestina. Si teme infatti che, mantenendo questo rapporto tra università e società, possano essere generati dati che supportino l’invenzione di nuove armi e un perfezionamento di quelle già esistenti.

Le istanze degli studenti sono state anche racchiuse in una lettera pubblica sottoscritta da 250 persone tra studenti e docenti. Ma per i giovani accampati, l’assenza del Rettore è “già una risposta“. Così la studentessa Cecilia Battibocca, che continua:

“Noi riteniamo assurdo, ma soprattutto molto avvilente, che il Rettore come rappresentante legale dell’Università e il resto del corpo accademico pensino, nonostante questa forte partecipazione e questa forte richiesta, che i motivi e i problemi che noi solleviamo non sussistano. Il Rettore ha già ribadito e sottoscritto la posizione dell’ateneo, ma per noi non è assolutamente bastevole: quello del popolo palestinese non viene mai definito genocidio né, quindi, riconosciuto come tale. Per noi, poi, a otto mesi dall’inizio del conflitto, è assurdo e inaccettabile che l’attacco del 7 ottobre venga ancora paragonato a più di 70 anni di apartheid, di occupazione illegittima dei territori e al massacro di più di 40.000 civili, tra cui donne e bambini”.

La protesta per la guerra in Medio Oriente apre, poi, a rivendicazioni più locali di giovani che vivono tutti i giorni la propria città e che, proprio per questo, vorrebbero poter abitarla meglio:

“Abbiamo deciso di creare un presidio permanente in cui praticare socialità e formazione autogestite. Vogliamo creare un luogo in poter praticare il dibattito libero, organizzare e partecipare alle attività. Per noi il fatto che questo spazio esista in pieno centro storico ha molto significato, perché ormai il centro storico, come sappiamo, è disabitato per colpa del caro affitti, è privo di servizi essenziali e devitalizzato di quella che sarebbe la sua funzione, cioè quella di punto di riferimento per i cittadini e le cittadine”.