15 Ottobre 2024 - 09:37:04
di Martina Colabianchi
Ancora non è tornata attiva la somministrazione della pillola abortiva RU486 nell’ospedale San Salvatore dell’Aquila.
A denunciarlo sono i membri del collettivo FuoriGenere che lo scorso 8 luglio, a seguito di un sit-in organizzato davanti l’ambulatorio di Ginecologia, erano stati rassicurati dal personale medico che l’erogazione sarebbe ripresa regolarmente da metà agosto.
Il giorno dopo, in una nota, la dottoressa Anna Lepore, della direzione sanitaria, e il dottor Gabriele Iagnemma, sostituto del direttore facente funzioni del reparto di Ostetricia e Ginecologia, avevano invece promesso la riapertura del servizio a settembre in seguito ad una necessaria riorganizzazione del personale.
Ad oggi, però, il servizio di erogazione della RU486 ancora non è ripartito.
“Questo significa che, – scrive il collettivo in una nota – quando una donna o soggettività con utero vuole interrompere una gravidanza, è obbligata a raggiungere Avezzano o Teramo e sottoporsi ad almeno quattro appuntamenti in reparto, impiegando così un notevole dispendio di tempo e denaro che rende la pratica, che dovrebbe essere garantita, potenzialmente inaccessibile o senza dubbio eccessivamente complicata“.
“Abbiamo nuovamente inviato una PEC per chiedere un incontro, che non ha ricevuto risposta. Sappiamo che il prof. Di Stefano lascerà il servizio il 31 ottobre e a lui subentrerà un nuovo primario. Siamo ben consapevoli che, purtroppo, prima di quella data il servizio non verrà ripristinato ed approfittiamo di questo spazio per ribadire che negare la libertà di abortire rappresenta una delle tante forme di violenza di genere, perché l’imposizione del ruolo riproduttivo è uno dei molteplici modi con cui si esercita il controllo e il dominio sui corpi“.
“Non conosciamo la linea che seguirà chi succederà al prof. Di Stefano ma, – proseguono – come collettivo transfemminista che opera da anni in città, ribadiamo la nostra volontà di continuare a monitorare la situazione e batterci affinché venga ripristinato un servizio legale, riconosciuto e fondamentale“.
“Auspichiamo, inoltre, che al ripristino del servizio venga data la giusta dignità attraverso spazi e tempi adeguati, e una turnazione del personale commisurata all’impegno lavorativo richiesto. Non è più pensabile immaginare l’erogazione dell’aborto farmacologico nei ritagli di tempo del personale medico che lo praticherà, così come non è più possibile sobbarcare di un surplus lavorativo chi non è obiettore di coscienza. Vogliamo e pretendiamo strutture laiche, che non supportino le associazioni antiabortiste né quelle cattoliche, che permettano di scegliere il più serenamente possibile se e quando essere madri o genitori, e che incoraggino la diffusione e la conoscenza delle pratiche contraccettive“.
“Negli scenari tetri ed oppressivi a cui stiamo assistendo, le piazze transfemministe rappresentano un grido di libertà. È importante respingere, insieme alle politiche di povertà, di guerra e di repressione, anche le politiche di dominio sui corpi, che pretendono di interferire sulle nostre vite e le nostre scelte“, conclude il collettivo FuoriGenere.