06 Novembre 2024 - 19:20:48

di Redazione

Il fenomeno “paradossale” della povertà, nonostante l’occupazione, alimenta una crescente preoccupazione che contraddice la promessa di un diritto al lavoro dignitoso al punto che oggi il tema è diventato non solo più complesso e critico, ma anche di rilevante e drammatica attualità soprattutto in Italia.

L’irrompere delle crisi e delle transizioni recenti e ravvicinate (pandemica, digitale, energetica ed ecologica) ha avuto un impatto diretto e immediato sulla realtà, ricalcando le tradizionali distorsioni e diseguaglianze del rapporto e del mercato del lavoro. L’intreccio di povertà, vecchie e nuove, può costituire un grave freno per le prospettive di crescita sostenibile sia a livello economico e sia sociale ed ecologico.

Di questo tratta il Seminario di Studi “Dal lavoro povero al lavoro dignitoso” in programma venerdì 8 novembre 2024 alle ore 10.00 presso l’Aula magna della sede di Economia dell’Università dell’Aquila.

L’evento sarà l’occasione per presentare il volume “Dal lavoro povero al lavoro dignitoso. Politiche, strumenti, proposte”. Tale pubblicazione costituisce uno dei principali risultati di una ricerca interuniversitaria – ampia e multidisciplinare – finanziata dal Ministero nell’ambito del PRIN 2017 sul tema Working Poor NEEDS: NEw Equity, Decent work and Skills che ha visto coinvolto il Dipartimento di Ingegneria industriale e dell’Informazione e dell’Economia dell’Università degli Studi di L’Aquila, il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Udine, il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Bologna ed infine il Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano.

L’iniziativa seminariale è stata promossa dal gruppo di ricerca dell’Università degli Studi dell’Aquila (composto dai professori Pietro Lambertucci, Lina Del Vecchio, Marco Valente, Walter Giulietti, Giuseppe Colavitti, Francesca Caroccia, Maria Cristina Cervale, Alberto Lepore e Andrea Di Filippo).  

L’ambito di ricerca, partendo da un’ampia riflessione sulle dimensioni giuridico-economiche del fenomeno del lavoro povero, con particolare attenzione e considerazione dei recenti dati sia sulla povertà in Italia e in Europa e sugli investimenti nelle politiche attive del lavoro, si rivolge ai contratti di lavoro contrassegnati da una forte “discontinuità occupazionale” che genera un vulnus sul piano del trattamento economico e previdenziale. Travalicando la tradizionale distinzione tra lavoro subordinato ed autonomo (o libero professionale) si colgono le dimensioni odierne del decent work e delle relative istanze di protezione per ricercare soluzioni di contrasto alla povertà davvero efficaci anche nei nuovi contesti economico-organizzativi (si pensi al lavoro tramite piattaforme digitali) ove trovano una facile diffusione forme inedite di sfruttamento del lavoro. In questa direzione di indagine si evidenzia come il problema vada affrontato soprattutto dal punto di vista della regolamentazione giuridica dei rapporti di lavoro che attiene non solo agli interventi della fonte legale ma anche della contrattazione collettiva ai vari livelli.

Procedendo nell’itinerario delle politiche di contrasto al lavoro povero, l’attenzione è posta su una famiglia di politiche per l’occupazione (quelle di aggiornamento ed adeguamento della professionalità) da calare in un mercato del lavoro che cambia sempre più velocemente, con una evoluzione profonda e incessante dei modi di lavorare (anche nel lavoro pubblico), con una progressiva interazione persona-macchina nell’organizzazione del lavoro e nel contempo con una forza lavoro che, per effetto del c.d. inverno demografico, invecchia inesorabilmente.  La ricerca sui lavoratori poveri è attraversata da un fil rouge che riguarda, in particolare, i divari di genere nel mercato del lavoro. Le donne, di solito, sono i componenti economicamente deboli della famiglia per una serie di motivazioni legate alle scelte di indirizzo di studio e ingresso nel lavoro, per il peso della maternità e conciliazione vita-lavoro, ma anche a causa di politiche che ne scoraggiano l’occupazione così come per i persistenti stereotipi e pregiudizi culturali.