25 Dicembre 2024 - 03:31:46
di Tommaso Cotellessa
Un Natale quello di quest’anno avvolto da un manto di eccezionalità. La luce della stella viene ad illuminare la porta di un Giubileo che segnerà l’intero 2025, ma al contempo questa luce si staglia su un mondo in guerra, attanagliato da due grandi conflitti che continuano a mietere vittime e produrre distruzione. La grotta di Betlemme, divenuta ormai luogo di guerra, continua tuttavia ad invitarci a guardare oltre, a richiamarci ad un desiderio di pace. Una pace vera, profonda e duratura tanto a livello sociale quanto sul piano interiore.
In un mondo in cui, come scriveva pochi giorni fa con preoccupazione il filosofo Massimo Cacciari, sembra che si sia passati dalla secolarizzazione alla totale scristianizzazione, “dalla morte di Dio al profondo silenzio in cui sembra inabissarsi la parola, il verbo, di Gesù” il Natale, nel suo senso più intimo e profondo, arricchito dall’eccezionalità dell’apertura del Giubileo della Speranza, sembra essere un invito a guardare quell’oltre che spesso rimane fuori dalla scena, considerare quella intimità segreta con cui credenti e non, laici e religiosi presto o tardi si trovano a fare i conti.
In questo tempo forte abbiamo voluto proporvi un’intervista ad un uomo semplice ed al contempo coltissimo, un uomo profondo e cordiale che nonostante l’età continua a preservare la sua finissima capacità di saper osservare il mondo ed interpretarlo non perdendo mai quella curiosità che si fa ricerca dell’altro, dell’oltre e di sé. Monsignor Giuseppe Molinari, Vescovo Emerito dell’Aquila, continua infatti a sorprendere e invitare al dialogo non ponendo mai fine ad una ricerca che come lui stesso afferma contribuisce in primis alla sua fede.
Conosciuto dagli aquilani come Don Giuseppe, appellativo amichevole e cordiale che rivela il profondo affetto della cittadinanza per uno dei suoi pastori più amati, è tornato infatti fra gli scaffali delle librerie con un nuovo volume in cui consegna ai lettori i suoi “pensieri stravaganti“, come sempre rimanendo fedele a sé stesso dunque vestendo i panni che gli appartengono, quelli di “un povero cristiano“.
Del libro abbiamo parlato con lo stesso Don Giuseppe, in un lungo dialogo – che vi proponiamo – tra Natale, Giubileo, pace e molto altro.
Eccellenza, lo scorso novembre è uscito nelle librerie il suo ultimo libro “Tu dagli occhi così puri. Pensieri stravaganti di un povero cristiano” cominciamo il nostro dialogo parlando della purezza, un aggettivo che risulta quasi anacronistico in una società che appare sempre più smaliziata?
La frase che ho scelto come titolo di questo libro è di un profeta del Vecchio Testamento che, nel rivolgersi al Signore, dice “Tu dagli occhi così puri, come fai a sopportare tutte le malvagità, le cose atroci che succedono nel mondo?” Si tratta di un interrogativo sul problema del male e della sofferenza degli innocenti. Se c’è un essere che è puro, infinitamente puro è proprio Dio, che poi si è incarnato in Gesù di Nazareth. Però non si tratta di una purezza che ci è lontana, è piuttosto una purezza che ci attira, che ci libera da tutte le nostre miserie. Io ricordo sempre una frase che sta nella prima lettera di San Giovanni Apostolo quando dice “fratelli se anche il vostro cuore vi rimprovera qualcosa ricordatevi Dio è più grande del nostro cuore”. E quel più grande del nostro cuore significa che è più grande delle vostre debolezze, dei vostri sbagli, dei vostri errori, delle vostre paure, dei vostri dubbi. Non è una grandezza che schiaccia, è una grandezza che apre orizzonti nuovi e così anche la purezza di Dio, è una purezza che ci affascina e ci cambia in modo bello, positivo, ci fa simili a Lui.
In questo processo di avvicinamento verso la purezza di cui lei parla che ruolo riveste il messaggio del Natale? A cosa ci chiama?
Bisogna tener ben presente che il Natale non è solo una rievocazione, in questi giorni ci viene ricordato che Dio è venuto e viene ogni giorno nella nostra vita, in questo senso la liturgia fa un miracolo grande, strepitoso, perché ci fa rivivere questi misteri della vita di Gesù. Nel giorno di Natale è come se noi ci trovassimo insieme con i pastori a Betlemme, vicino alla grotta dove è nato Gesù. Purtroppo il Natale oggi è seppellito sotto tante cose effimere che però non vanno condannate totalmente. Di per sé la gioia attorno al Natale ci sta pure bene, solo che – come diceva qualcuno – si corre il rischio di far grandi feste ma dimenticando il festeggiato. Vivere il Natale vuol dire invece avere questa certezza: che Dio è venuto in mezzo a noi e rimane con noi, e questo è il fondamento di tutte le nostre speranze; ma è anche la certezza che se Dio è venuto non dobbiamo più aver paura. La storia del mondo ha un senso, la nostra storia ha un senso e anche la nostra sofferenza ha un senso.
Il messaggio di questo Natele si trova inoltre ad assumere una rilevanza ancor più ampia inseguito all’apertura dell’anno Giubilare, cosa può dire questo Giubileo della speranza al mondo di oggi?
La prima lettera pastorale che scrissi da Vescovo dell’Aquila nel 1999 era proprio sul Giubileo del 2000 e l’ho intitolata Venite alla festa riprendendo quanto scritto da Papa Giovanni Paolo II nella lettera di indizione dell’Anno Santo. Qui il Santo Padre scriveva che vivere il Giubileo è come andare in una festa di nozze. Il riferimento è interessante perché tutta la Bibbia è attraversata da questo tema, il patto dell’alleanza, il patto di amore tra Dio e l’uomo. Questo patto è inteso proprio come un matrimonio tra Dio e l’uomo. Già i profeti dell’Antico Testamento per spiegare l’alleanza parlano sempre dell’amore nuziale, Dio è lo sposo e Israele è la sposa, i profeti non trovano nessuna immagine più bella che quella dell’amore nuziale e anche Gesù riprende questo tema, ad esempio quando paragona il regno dei cieli a un re che vuole celebrare le nozze per suo figlio, chi celebra le nozze è lui che viene a sposare tutta l’umanità, ognuno di noi è questa sposa. Il Giubileo serve a rinnovare questo patto di amore con Dio, questa è la cosa più bella. Io dico sempre, ripetendo quello che avevo sentito da un padre passionista, la vita del cristiano non è quella di un vagabondo che non sa dove deve andare e neppure quella di un turista che gira senza una meta particolare, ma è come quella di un pellegrino che sa dove deve andare, questo è quello che sa il cristiano; egli conosce la meta. Ogni tanto ce ne dimentichiamo, ma ecco che arriva il Giubileo e ci aiuta a ritrovare l’importanza di questa meta e quindi anche l’importanza di dare di nuovo senso alla nostra vita e alla storia del mondo.
Bisogna inoltre riconoscere che il Giubileo oltra al suo enorme valore spirituale ha anche un’importante valenza sociale. Nel 2000 in occasione dell’anno Giubilare la Chiesa ottenne l’abolizione del debito pubblico per gli stati del terzo mondo, quest’anno Papa Francesco ha avanzato la stessa proposta richiedendo anche l’abolizione a livello universale della pena di morte.
Sappiamo che il Giubileo era già una prassi in vigore nell’antico popolo di Israele, c’era infatti questo anno in cui si rimandavano liberi i prigionieri, si rimettevano i debiti, ed è importantissimo questo aspetto del Giubileo. L’Anno Santo è infatti composto da tre elementi principali: il pellegrinaggio, la porta santa, ma l’altro aspetto è proprio la carità. Come nell’antico popolo di Israele, così è nel giubileo cristiano, bisogna pensare al prossimo. Aspetti come il sostegno ai paesi poveri, l’attenzione al problema dei carcerati, l’impegno a eliminare la pena di morte sono tutti aspetti della carità e dunque parte integrante del Giubileo. Papa Francesco si sta spendendo su molti fronti che sono totalmente fuori dall’agenda politica e della società. Questo senso pratico del Giubileo è molto importante in quanto come scrive San Giacomo “la fede senza le opere è morta“, perciò possiamo dire che il Giubileo è un fatto non solo sociale ma anche politico, nel senso più ampio di questa parola in quanto come diceva Pio XI la politica è la forma più attuale, efficace e moderna della carità. Questo riflesso sociale a beneficio dei poveri è quindi essenziale, altrimenti si snatura il Giubileo. Così come è importante il tema della liberazione delle tante schiavitù che sono diffuse in questo mondo, c’è una frase dell’Antico Testamento dove Dio dice la terra è mia, voi siete ospiti, come fanno dunque le nazioni a combattere per un pezzo di terra se la terra è del Signore? Egli ha fatto in modo che basti a tutti, ma purtroppo il nostro egoismo distorce tutto e sembra che non basti mai.
Questo tema della liberazione e della schiavitù sembra toccare alcuni nodi profondi del nostro tempo non crede?
Noi dobbiamo stare di fronte alla realtà, la realtà è che oggi sembra che Dio stia al margine della società. C’è un piccolo capitolo nel mio libro intitolato Per voi è come se io non sono è il Signore che si lamenta attraverso il profeta con il suo popolo e dice “ormai non mi considerate più, non mi tenete più presente” queste parole si stanno attuando oggi. Praticamente oggi l’uomo pensa che è lui ad essere l’artefice della storia. Il grande teologo francese Jean Daniélou nel parlare del marxismo – che ha anche aspetti positivi – sostenne che quest’ultimo su un punto è diventato antitetico al cristianesimo: mentre il cristianesimo parla di un Dio che opera nella storia, quindi nella storia del mondo e nella nostra vita, il marxismo sostiene che solo l’uomo può costruire la storia, non c’è bisogno di un altro, così Dio diventa inutile. Oggi purtroppo la mentalità scientifica, la tecnica, la civiltà delle immagini inducono a pensare un Dio lontano, marginale, inutile e questo rende difficile capire il messaggio cristiano, capire anche lo stesso Giubileo. Quella che ci viene offerta è una profonda pastorale della confessione, questa riconciliazione con Dio, con i fratelli e con la natura, tutto questo è una novità che però può essere percepita solo da chi sa uscire fuori da questa prigione che porta a guardare solo l’uomo, che vede solo quello che riesce a fare l’uomo. Chi non sa andare oltre non può liberarsi. Mi ha molto colpito la storia dello scrittore francese Julien Green che ha avuto una vita tumultuosa, sregolata, ma poi è approdato al cristianesimo in senso pieno per mezzo di una conversione totale, autentica. Egli ha scritto un diario fatto di molti volumi ed in una di queste pagine racconta che una volta stava ascoltando la musica e ha avuto come una piccola esperienza mistica, cioè ha avuto come la sensazione che sì, questo mondo che vediamo è una realtà che tocchiamo con mano, ma c’è un altro mondo più reale di questo, più vero di questo, che non vediamo ma c’è, c’è, e allora ha scritto queste parole, tutto è altrove. Chi ha fede profonda sa questo, non si tratta di un disprezzo del mondo, Dio infatti si è incarnato in tutta la nostra realtà povera, però ecco il cristiano è quello che pur tenendo fermi i piedi sulla storia questa storia la vuole vivere con tanta lealtà, rispondendo a tutte le sfide della realtà, sapendo che tutta la realtà non è circoscritta a quello che vediamo e tocchiamo. Purtroppo oggi c’è un’altra mentalità, qualcuno diceva che oggi la vera differenza non è fra credenti e non credenti, ma piuttosto fra credenti e atei da un lato e dall’altro gli indifferenti. È brutto quando uno è indifferente, non gli importa niente, non si pone neppure il problema, questa è la cosa più brutta.
Abbiamo parlato molto dei problemi del mondo e della società odierna, ma parliamo un attimo dell’Aquila. Noi aquilani potremmo quasi dirci degli habitué del Giubileo grazie al dono della Perdonanza lasciatoci da Papa Celestino V. Cosa viene a dire agli aquilani questo grande Giubileo?
La città dell’Aquila è invitata ancora una volta a riscoprire la ricchezza, il significato profondo del messaggio di Celestino. Con questo Giubileo, come con tutti i Giubilei, il cattolico aquilano è chiamato a riflettere ancora di più sul dono grande che ha fatto Celestino a questa città, perché sappiamo che la bolla di Celestino è venuta sei anni prima del Giubileo di Bonifacio, sono infatti tanti gli storici che mettono in risalto il collegamento fra il grande Giubileo di Bonifacio VIII e la Perdonanza. Sicuramente infatti il primo Giubileo fu ispirato al piccolo Giubileo inventato da Celestino. Quindi gli Aquilani con questo Giubileo dovrebbero prendere coscienza ancora di più dell’immensità del dono di Celestino e anche viverlo, e viverlo non soltanto una volta all’anno, non soltanto in concomitanza del Giubileo, ma viverlo ogni giorno. Quando ero Vescovo cercavo sempre di dire agli aquilani ricordatevi che noi siamo chiamati a vivere la Perdonanza tutto l’anno, in quanto la Perdonanza è in fondo ritrovare questo rapporto con Dio, ritrovare il rapporto con i fratelli, con la natura, e questo è qualcosa che ci deve accompagnare ogni giorno. Quindi per gli Aquilani è bello sapere che col Giubileo tutta la cristianità, tutto il mondo, vive una Perdonanza particolare, straordinaria.
Eccellenza prima di concludere questo ricco e piacevolissimo dialogo torniamo un attimo a parlare del suo libro. Sfogliando queste pagine si nota immediatamente la profondità delle riflessioni che vengono proposte ma al contempo anche la loro stravaganza. Si parla di testimonianze e pensieri, ma anche di patate e professori finanche di una lettera diretta a Corrado Augias.
Questo libro nasce come un dono che volevo fare agli amici in occasione del mio 35esimo anniversario da quando sono diventato Vescovo, ma ha rappresentato per me un’occasione per interrogarmi ancora di più sulla mia fede, questa fede che in fondo è una persona, in Gesù Cristo. Per ogni cristiano la cosa più importante è la fede che è in una persona, che è Gesù Cristo, ma per un sacerdote, per un vescovo è ancora più importante, perché se manca questo crolla tutto, non rimane niente, la nostra vita senza Gesù Cristo, vero Dio, vero uomo, non avrebbe più senso. Così ho deciso di proporre alcune mie riflessioni, fra queste c’è ad esempio una lettera diretta a Corrado Augias, nella quale non c’è niente di polemico, ma nasce dalla lettura di un suo libro in cui traspare una concezione della vita molto cupa, molto triste, praticamente dice che la nostra vita è alcune decine di anni di movimento fra una tenebra e l’altra. Un cristiano si ribella a questa concezione così cupa, così senza speranza, e ho cercato anche di argomentare, di dire che la concezione cristiana è ben diversa da quella lì. Mentre nel capitolo “Le patate di La Salette” mi sono concentrato su ciò che dice un profeta del Vecchio Testamento quando esorta il popolo di Dio a pensare a Dio, a pensare al tempio, che deve essere ricostruito, allora il Signore sarà più vicino a questo popolo, l’aiuterà, e ho ritrovato delle espressioni quasi simili a quelle pronunciate dalla Madonna che è apparsa a La Salette, dove due pastorelli che erano analfabeti, che non conoscevano quasi niente della chiesa trovano questa signora che piange e si lamenta perché lì a La Salette i contadini non andavano più in chiesa, le patate andavano a male e così anche il raccolto. Lì la Madonna dice tornate dal Signore e vedrete che tutto andrà meglio, che in fondo è quello che dice Gesù, cercate prima di tutto il regno di Dio e tutto il resto vi sarà dato. Si tratta di un invito molto bello anche per questo Natale e per questo Giubileo. C’è anche un capitolo intitolato Se Dio non esiste tutto è permesso, nel quale ho ripreso una frase di Cesare Pavese, autore che ho avuto modo di approfondire. Pavese ha una problematica religiosa un po’ interessante, nel suo diario riferendosi a Kant scrive: “idiota e lurido Kant, se Dio non esiste tutto è permesso” cioè la morale può esistere solo se la agganciamo a Dio, altrimenti ognuno si fa la morale a modo suo, allora non ci dobbiamo meravigliare se quello uccide, quello ruba, quello è corrotto, perché non c’è più questo riferimento ad un assoluto che diventa norma per la tua vita, questo è importante anche per la vita di oggi, dei singoli, delle comunità, delle collettività, di quelli che si credono potenti e massacrano tanta gente, se manca questo riferimento a Dio si sbriciola tutto.
Eccellenza grazie per il suo tempo e le sue parole.
Buon Natale