08 Maggio 2025 - 09:15:14

di Tommaso Cotellessa

Un’emozione enorme, che restituisce a pieno il senso del sacro: un’esperienza che raggiunge il cielo, ma che al tempo stesso si radica nella responsabilità di chi si fa carico della nuda terra. È questo il sentimento profondo e sublime che le immagini del Conclave suscitano. Immagini di una Chiesa plurale e differente, ricca di volti e storie, ma unita nel cammino verso una sola direzione.

Un’emozione ancora più intensa, certamente, l’avranno provata gli aquilani nel vedere entrare in Conclave il proprio arcivescovo emerito, il cardinale Giuseppe Petrocchi. Un volto amico, discreto, ma profondamente vicino. Un uomo che ha sempre avuto un modo personale, sobrio ma incisivo, per entrare in contatto con i fedeli. Vedere quella mano – che ha accarezzato volti, asciugato lacrime, impartito benedizioni – posarsi sul Vangelo per il solenne giuramento che precede l’”extra omnes”, significa poter guardare la storia mentre si compie, riconoscendovi l’umano.

D’altronde è proprio questo il mistero che la Chiesa ci svela di continuo: l’incarnazione concreta dell’Altissimo nell’infinitamente piccolo. Un mistero che, da finezza teologica, diventa esperienza tangibile nella vita dei cristiani e dei servitori della Chiesa.

Il nome di Petrocchi è certamente quello di un mite. Qualcuno – in questo “reality” da totopapa, che sa più di mercato consumistico che di compito storico – lo definirebbe un outsider. Ma è, prima di tutto, un servitore della Chiesa. Creato cardinale da Papa Francesco nel 2018, ha portato il colore della porpora nella diocesi dell’Aquila, distinguendosi per capacità amministrativa e spirito di servizio.

Con il suo stile sobrio e riflessivo, ha imparato ad entrare in contatto con la città, affrontando l’arduo compito di succedere a Giuseppe Molinari – aquilano tra gli aquilani – con rispetto e tenerezza, partendo dalle ferite ancora aperte della città. Su quelle ferite si è soffermato con la capacità di compatire, senza mai prevaricare il dolore; con la dolcezza di chi sa contemplare e, allo stesso tempo, sostenere.

La sua non è una personalità dirompente, ma si distingue per la capacità di mostrarsi al momento giusto, senza mai perdere il dono dell’osservazione profonda. Forse, il momento in cui la città lo ha visto nella sua dimensione più autentica è stato al termine della sua ultima messa da arcivescovo. Nella basilica di Collemaggio si è mostrato vulnerabile, aperto, commosso. In quell’occasione, anche chi fino a quel momento non ne aveva colto la sensibilità, ha potuto finalmente percepirla.

Petrocchi è anche un uomo di profonda competenza, fedele all’indirizzo del Pontefice. Ha presieduto un’importante commissione di studio sul diaconato femminile ed è membro di importanti organismi vaticani: la Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, la Congregazione per l’Educazione Cattolica, della Congregazione per le Cause dei Santi, la Commissione di Vigilanza sullo IOR, del Consiglio per l’Economia del Vaticano

È un amministratore, ma non un conservatore; piuttosto, un attento osservatore dell’opera dello Spirito.

Con lui entra in Conclave un uomo, ma anche un’intera esperienza: fatta di attimi, incontri, emozioni e vissuti. E in qualche modo, con quell’uomo, entriamo anche noi.

Il motto da cardinale scelto da Petrocchi è “Ante omnia caritas”. E siamo certi che, anche in questo momento decisivo per la Chiesa, quest’uomo mite metterà davanti a tutto la carità.