24 Giugno 2025 - 10:14:16
di Tommaso Cotellessa
Alle ore 7:07 del 24 giugno 1958, un forte terremoto colpì la media Valle dell’Aterno, con epicentro localizzato nella zona oggi nota come Nucleo industriale Bazzano–Paganica, alle pendici del Monte Bazzano. L’evento interessò direttamente la città dell’Aquila e numerosi paesi del circondario: Paganica, Bazzano, Onna, Camarda, San Demetrio, Poggio Picenze, Barisciano, Fossa, Ocre e Sant’Eusanio Forconese. Fu avvertito anche in vaste aree dell’Umbria, delle Marche e del Lazio.
A ricordare l’evento è il professor Claudio Panone, che, ripercorrendo quei momenti e denunciando il poco risalto che venne dato al sisma, si firma come: «Un cittadino che ha creduto e continua a ritenere indispensabile la prevenzione».
Proprio in un’ottica di prevenzione e consapevolezza del territorio, Panone non si limita a rievocare una pagina dimenticata della storia locale. Il suo intervento è un invito, un monito, un richiamo alla responsabilità: per troppo tempo si è ignorata la storia sismica dell’Aquilano.
Il terremoto del 1958 – scrive il professore – presenta numerose analogie con il sisma del 1461. Provocò crolli parziali e lesioni più o meno gravi a numerosi edifici nei centri di Bazzano, Onna e Paganica. Per diversi giorni, la popolazione non fece ritorno nelle proprie abitazioni: «Anch’io rimasi, con i miei familiari e le persone del vicinato, fuori casa, in uno spazio antistante all’abitazione», ricorda Panone.

I danni furono ingenti anche nella città dell’Aquila. La Basilica di San Bernardino risultò gravemente lesionata, richiedendo importanti lavori di consolidamento. La cupola della Basilica di Collemaggio riportò lesioni significative; il secondo piano e la copertura del Castello cinquecentesco subirono danni evidenti. All’interno della Cattedrale crollarono le sovrastrutture dell’altare dedicato a Sant’Emidio. La scuola media “Giosuè Carducci” in via Sassa fu gravemente danneggiata, così come la copertura di circa 600 metri quadrati dell’ex Mattatoio comunale, oggi sede del MUNDA. Diversi edifici furono dichiarati inagibili e numerosi cornicioni in varie zone della città crollarono.
Nonostante tutto questo, quel terremoto rimase ai margini della memoria collettiva, dimenticato dalla storia, così come altri eventi tellurici che interessarono la zona: quello del 1950 (magnitudo 5.69 Mw) e quello del 1951 (5.25 Mw).
La mancanza di consapevolezza, la rimozione storica e l’assenza di attenzione vengono sottolineate con parole nette da Panone: «Per troppo tempo si è ignorata la storia sismica di questo territorio» mentre avrebbe dovuto consegnare il dovere della consapevolezza. Quella consapevolezza che forti terremoti possono verificarsi in qualsiasi momento».
La media Valle dell’Aterno è infatti – come ricorda ancora Panone – un’area ad elevata sismicità, storica e attuale. È stata colpita da numerosi terremoti nel corso dei secoli, con epicentri spesso vicini alla città dell’Aquila. La pericolosità sismica dell’area è legata alla presenza di sistemi di faglie attive, associate ai movimenti distensivi tipici dell’Appennino centrale. Si tratta di strutture geologiche in grado di generare terremoti di magnitudo elevata, prossima al 7.
Una consapevolezza che mancò drammaticamente nelle settimane che precedettero il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009.
Lo ricorda amaramente lo stesso Panone, sottolineando come nel dicembre 2008 diversi “esperti”, contro ogni evidenza della storia e della realtà del territorio, affermassero che «non c’era nessun allarme». Ma nella notte del 6 aprile 2009, alle 3:32, un violento terremoto colpì L’Aquila e i centri abitati vicini, cogliendo nel sonno decine di migliaia di persone. Fu una tragedia: 309 vite spezzate.
«La notte del 6 aprile – scrive il professore – poco è stato risparmiato dalla violenza del terremoto e il nostro territorio è stato stravolto sì dallo scuotimento della Terra, ma anche da imperdonabili errori e negligenze delle varie istituzioni: quelle di aver ignorato i suggerimenti e gli allarmi che nel corso degli ultimi decenni sono stati lanciati. Nulla è stato fatto in termini di prevenzione e non si è voluto volgere lo sguardo al passato. Non si è dato retta nemmeno alla storia sismica del territorio quando i forti terremoti sono stati quasi sempre preceduti da una lunga serie di scosse, anche di molti mesi (foreshocks)».
È così che una frase del celebre storico aquilano del Settecento Anton Ludovico Antinori sembra divenire un destino per questo territorio:
«Niuno però presagì prima dell’avvenimento quello, che dopo l’avvenimento di poter naturalmente presagire dicevano quasi tutti». «Però già si sapeva».
La sfida di oggi, anzi la responsabilità, la missione e il compito, è senza alcun dubbio quello della prevenzione. Un dovere che il passato, ma ancor di più il futuro consegna al presente.
A spiegare efficacemente questo compito è il sismologo Vincenzo Petrini – citato dallo stesso Panone:
«Condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché un sistema di difesa dai terremoti possa essere in pratica realizzato, è che ci sia un consenso attivo di tutte le componenti “sane” della società. Ma ciò richiede una corretta conoscenza, a livello di massa, delle cause e degli effetti dei terremoti, delle possibilità reali di difesa e dei suoi costi sociali».
Ricordare questi fatti, riprendere in mano il libro della storia è il primo passo per costruire sulla roccia e non sulla sabbia che tutto copre e tutto spazza via.