01 Luglio 2025 - 11:52:57
di Martina Colabianchi
Dopo l’approvazione all’unanimità, da parte della Commissione Ambiente della Regione Abruzzo, alla risoluzione del Pd che esprime un chiaro “no” alla realizzazione del gasdotto Snam, il tema è tornato in primo piano a Sulmona, dove da poco si è rinnovata la Giunta comunale.
Ad intervenire è nuovamente l’attivista Mario Pizzola del coordinamento “Per il clima fuori dal fossile“, secondo cui la questione della centrale Snam «è stata la grande assente della campagna elettorale. E questo nell’errata convinzione che non ci fosse più nulla da fare. Ora, la risoluzione regionale riapre la partita e il Comune di Sulmona è quello più direttamente coinvolto».
Il coordinamento ha inviato quindi una lettera al sindaco, alla Giunta e a tutti i consiglieri comunali con cui si chiede che il Comune faccia propri i contenuti della risoluzione e si attivi per raggiungerne gli obiettivi.
Di seguito i passaggi più significativi della lettera.
«L’approvazione alla unanimità, da parte della Commissione Ambiente e Territorio, della risoluzione che impegna il presidente Marsilio a “sostenere in tutte le sedi istituzionali la posizione di assoluta contrarietà della Regione al progetto Linea Adriatica della Snam” dimostra che la vicenda Snam non è da considerarsi chiusa ma che esistono ancora evidenti margini di intervento al fine impedire gli effetti disastrosi dell’opera nel nostro territorio. Sulmona è doppiamente interessata. Mentre i lavori per il metanodotto non sono ancora cominciati, quelli per la centrale vanno avanti dal settembre dello scorso anno. La Snam ha installato il cantiere di Case Pente in modo illegale, senza effettuare le prescrizioni ante operam previste obbligatoriamente dal decreto VIA e con una autorizzazione a costruire ormai decaduta.
Lo scempio che i grandi mezzi meccanici della Snam stanno provocando è sotto gli occhi di tutti. Non soltanto uno scempio ambientale, attraverso la cementificazione di un’area agricola di dodici ettari, l’eliminazione illegale di 317 alberi di ulivo e la sottrazione all’Orso bruno marsicano di un’importante area di corridoio faunistico. Ma anche, e soprattutto, un inaudito scempio della nostra storia e dei nostri beni culturali. Violando sia le norme dello Stato italiano che quelle dell’Europa, le ruspe della Snam hanno cancellato le tracce di un grande insediamento umano composto di 40 capanne e risalente a 4200 anni fa.
Ciò che è oltremodo inammissibile è che tutto questo sia avvenuto con l’autorizzazione della Soprintendenza dell’Aquila. La conservazione, lo studio e la valorizzazione di tali reperti avrebbero consentito di scrivere, con dati scientifici, la vera storia delle origini di Sulmona e di creare un grande parco archeologico open air, così come è stato fatto in altre località italiane.
Tuttavia, a Case Pente gli scavi di archeologia preventiva hanno portato alla luce molto altro: un edificio di epoca romana con 15 stanze, un impianto termale, una strada romana, due necropoli con complessive 120 tombe, una fornace per la produzione di tegole, un dolio e altre antiche mura. E’ la conferma di quanto sempre sostenuto in passato dalla Soprintendenza, che Case Pente costituisce un sito archeologico tra i più importanti e inediti. Auspichiamo, pertanto, che il Comune di Sulmona chieda il blocco dei lavori della centrale e l’apposizione, da parte del ministero della Cultura, del vincolo culturale sull’intera area di Case Pente».
La lettera del coordinamento prosegue con l’invito all’amministrazione comunale ad adottare iniziative che affianchino la Regione nel raggiungimento degli altri obiettivi della risoluzione: la sottoposizione del progetto ad una nuova Valutazione di Impatto Ambientale dal momento che quella in vigore risale a 14 anni fa; la sottoposizione dell’opera ad una approfondita valutazione costi/benefici, mai effettuata; l’approvazione di una normativa che individui le aree idonee per le infrastrutture metanifere, escludendo i territori ad alto rischio sismico e idrogeologico. L’approvazione di una nuova normativa sulle distanze di sicurezza in quanto «le norme attuali non garantiscono l’incolumità dei cittadini».