03 Luglio 2025 - 11:07:09
di Tommaso Cotellessa
La Chiesa universale ricorda oggi la memoria di uno degli apostoli divenuti più celebri nella tradizione popolare. “Sei come San Tommaso” è uno di quei detti popolari che, attingendo alla narrazione evangelica e alla tradizione cristiana, rendono più familiari personaggi altrimenti lontani o poco conosciuti, facendoli così entrare all’interno della cultura comune.
Proverbiale di San Tommaso è, senza dubbio, l’incredulità. Quest’ultima è infatti la caratteristica che distingue l’apostolo nell’episodio che lo vede protagonista del capitolo 20 del Vangelo di Giovanni, dove si racconta che l’apostolo non si trovava nel cenacolo al momento della prima apparizione del Cristo risorto. Perciò al sentire il racconto degli altri discepoli, che dicevano aver visto il Maestro vivo, nonostante fosse stato crocifisso, Tommaso reagisce con scetticismo:
«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, se non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mano nel suo costato, non crederò» (Gv 20,25).
L’obiezione di Tommaso trova risposta nel prosieguo della narrazione evangelica. Per far credere Tommaso, infatti, Gesù ritorna, vuole incontrarlo. Per lui si mostra nella gloria della Risurrezione e lo invita a toccare le sue piaghe, affinché possa finalmente credere.
Questa pagina evangelica trova un singolare collegamento con il territorio abruzzese. Il corpo dell’apostolo, infatti, riposa proprio nella nostra regione, nella Basilica di San Tommaso Apostolo a Ortona, dove le sue spoglie sono custodite nella cripta.
Ma come ci è finito San Tommaso in Abruzzo?
Secondo un’antica tradizione, dopo la Pentecoste, Tommaso intraprese la sua missione verso l’Oriente, evangelizzando la Siria, la Mesopotamia, e giungendo fino all’India sud-occidentale. Si spinse perfino in Cina, per poi tornare in India, sulla costa sud-orientale del Coromandel, dove morì martire a Mylapore, e lì fu sepolto.
Nel III secolo, durante una delle prime violente persecuzioni anticristiane nel sud dell’India, i fedeli decisero di mettere in salvo le reliquie dell’apostolo, trasferendole nella prima comunità cristiana di Edessa (circa nel 232). Da lì, le ossa furono poi traslate sull’isola di Chios, nel 1146, ritenuta un luogo più sicuro.
Fu nel 1258 che la storia di San Tommaso incrociò definitivamente quella dell’Abruzzo. In quell’anno, durante una spedizione militare nell’Egeo organizzata da Manfredi, Principe di Taranto e futuro re di Sicilia, alcune galee di Ortona, guidate dal navarca Leone, giunsero a Chios. In seguito al saccheggio dell’isola, il 10 agosto Leone e pochi compagni fidati trafugarono le ossa dell’apostolo e la lapide marmorea che le custodiva, facendo vela verso l’Italia.
Il 6 settembre 1258, le tre galee entrarono nel porto di Ortona. La popolazione accolse le reliquie con una solenne processione fino alla Chiesa madre di Santa Maria degli Angeli, oggi Cattedrale e Basilica di San Tommaso Apostolo, dove da oltre 750 anni il corpo dell’Apostolo riposa.
È così che, in un Paese di santi e poeti, la nostra regione ha accolto persino un apostolo. E non uno qualunque: un apostolo incredulo, forse un po’ testardo – insomma, quasi abruzzese. Un apostolo che ancora oggi parla all’uomo contemporaneo, invitandolo a un incontro autentico, personale, che porti a una fede incarnata nella vita quotidiana, al di là di ogni moralismo o bigottismo.
Del resto, come scrisse Papa Gregorio Magno:
«l’incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli».
E allora sì, di questo apostolo dobbiamo essere orgogliosi.