06 Settembre 2023 - 17:01:34
di Martina Colabianchi
Avevano già sparato ad Amarena, più volte forse, ma con una sostanziale differenza: a colpire la mamma orsa simbolo d’Abruzzo erano stati dei pallini piccoli da caccia, e non un proiettile calibro 12 che l’ha uccisa.
È quanto è emerso, ieri, durante l’autopsia all’Istituto Zooprofilattico di Teramo. La palla è stata prima individuata, in mattinata, durante le lastre alla Clinica Veterinaria dell’università e poi estratta dalla carcassa di Amarena durante la ricognizione cadaverica nel pomeriggio, terminata quasi a mezzanotte.
Gli spari di “avvertimento” che servono, in sostanza, per spaventare e allontanare l’orso, sono un fatto abbastanza comune nelle terre dei parchi: già l’orso Stefano che fu ucciso in Molise nel 2013 presentava le stesse ferite, ossia un connubio di avvertimenti e una successiva fucilata mortale.
La scoperta autoptica cambia la narrazione dell’evento, perché ora è tutto nelle mani del perito balistico Paride Minervini, la cui relazione sarà decisiva per definire l’accaduto. Come fanno capire gli ambienti giudiziari, la ricostruzione della esatta dinamica dello sparo è cruciale per definire le responsabilità dell’unico indagato, Andrea Leombruni, per cui risulta fondamentale stabilire la tempistica, la scelta dell’arma e del proiettile, la distanza, la traiettoria e la chiusura del cancello di casa per bloccare l’orsa.
L’autopsia conferma, comunque, che si sia trattato di una morte lenta, dovuta al colpo che, entrato nel polmone dal fianco vicino alla spalla, le ha compresso irrimediabilmente tutti gli organi interni provocando un’inevitabile emorragia interna. Morte lenta a cui Amarena non si sarebbe arresa ma contro cui avrebbe lottato, tentando più volte di alzarsi da terra, inutilmente.