22 Agosto 2025 - 12:12:01

di Tommaso Cotellessa

«Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse».

Con queste parole si apre il capitolo 9 del libro del profeta Isaia. Un testo carico di speranza, annuncio di una buona novella che diventa presagio di un tempo nuovo: un tempo di pace e prosperità.

Tutto questo può essere espresso con le parole, con l’arte o con la musica, in sintonia con quella “metafisica della luce” di cui è stato interprete mirabile Dante Alighieri nella sua Divina Commedia. La luce è simbolo positivo per eccellenza: rischiara le tenebre, invade lo spazio e conduce a una conoscenza autentica e limpida.

Eppure, un significato tanto profondo non si trasmette soltanto attraverso grandi trattati o complesse rappresentazioni. Talvolta ciò che è più alto si esprime meglio con gesti semplici: come una catena umana, una staffetta che porta una fiaccola, un fuoco che illumina e annuncia l’inizio di un nuovo tempo.

Così accadde ad Atene, nel 490 a.C., quando Fidippide corse senza tregua per annunciare la vittoria nella battaglia di Maratona contro i Persiani. Quell’uomo portava un messaggio capace di infiammare la città, di trasformare l’ansia dei cittadini in gioia e speranza: l’inizio di un tempo nuovo.

Quell’episodio antico si ripete, in forma diversa ma con lo stesso significato, oggi a L’Aquila.

Questa sera, in Piazza Palazzo, giungerà il Fuoco del Morrone partito il 16 agosto scorso dall’ Eremo di Sant’Onofrio. Con l’accensione del braciere avrà inizio il tempo della Perdonanza: un tempo di pace e riconciliazione. Un momento epocale, che non ammette indifferenza. È un rito che si ripete ogni anno, ma non è mai lo stesso. È un invito alla rinascita, un’opportunità sempre nuova.

Oggi più che mai, mentre le tenebre della crudeltà, della guerra e della prevaricazione insanguinano il mondo – da Gaza all’Europa, dal Medio Oriente ad altre terre martoriate – questo fuoco appare come una piccola candela in una stanza oscura. Sta a noi accoglierlo e farlo divampare, incendiare il mondo nel nome di Celestino V.

L’eremita che dal monte Morrone scese a L’Aquila, in sella a un asino, per assumersi una responsabilità immensa: prendersi cura del proprio tempo e aiutare la sua generazione.

L’invito che ci viene rivolto è chiaro: diventare imitatori di Celestino, non sprecare questa Perdonanza.

Oltre al panem et circenses, c’è un tesoro autentico da accogliere: un tesoro che moltiplica la gioia e accresce la letizia.