17 Settembre 2025 - 20:23:34

di Vanni Biordi

Un nuovo, inquietante sviluppo emerge nel caso della 12enne presunta vittima di violenze a Sulmona.

L’interrogatorio della giovane si è svolto oggi a L’Aquila, negli spazi del Tribunale dei minorenni, ed è durato tre ore e mezzo. La ragazza ha sostanzialmente confermato le violenze subite dai due giovani indagati, raccontando di aver tentato di difendersi, tanto che uno dei due ragazzi avrebbe riportato dei graffi.

La triste vicenda, emersa nei giorni scorsi, sembra rivelare un modello di abusi sistematici protrattisi per mesi, se non anni, in un contesto di estrema vulnerabilità. La minore, originaria della zona, avrebbe subito violenze da un 14enne e un 18enne che, secondo le ricostruzioni investigative, l’avrebbero aggredita più volte. Non solo, avrebbero filmato gli atti e condiviso il materiale in chat private su WhatsApp. Un terzo indagato, un altro minorenne, sarebbe coinvolto come presunto autore di uno dei video, contribuendo alla diffusione del contenuto.

Ma la svolta è arrivata da un genitore di uno dei ragazzi che frequentano i due presunti autori delle violenze. Sospettando qualcosa, avrebbe controllato le chat di WhatsApp del figlio e avrebbe trovato il video della violenza. A quel punto, avrebbe subito informato i Carabinieri, fornendo una prova cruciale che ha accelerato le indagini. Questa scoperta è un elemento chiave che rafforza le accuse e dimostra l’importanza del ruolo che le famiglie possono giocare nell’individuare e denunciare situazioni di abuso.
Le aggressioni, perpetrate in sordina, sono emerse grazie al coraggio della vittima e alla scoperta del genitore. La storia svela un meccanismo di coercizione e manipolazione psicologica: gli aggressori, tutti giovani, avrebbero sfruttato la fiducia e i legami amicali per isolare e sopraffare la vittima, trasformando ambienti familiari in scenari dell’orrore. Questo aspetto amplifica il senso di tradimento e rende più complesso il percorso di recupero psicologico della minore.

Questo caso si inserisce in un contesto nazionale allarmante. Secondo i dati Istat e i rapporti del Ministero della Giustizia, le violenze sessuali su minori in Italia colpiscono migliaia di vittime ogni anno, con una stima di casi non denunciati che si aggira intorno al 90% a causa della reticenza a parlare. L’elemento digitale aggrava il quadro: la diffusione di video su piattaforme come WhatsApp non è un caso isolato, ma riflette una deriva del “revenge porn” giovanile, alimentata da una cultura online che banalizza la violenza e normalizza la condivisione di contenuti intimi senza consenso.

L’analisi forense sui telefonini e computer dei tre indagati, pur essendo un passo fondamentale, richiede in media circa due mesi. Questo ritardo, seppur standard, prolunga l’ansia per la famiglia della vittima e solleva interrogativi sulla capacità del sistema giudiziario di adattarsi alla velocità del mondo digitale.
Il caso di Sulmona non può essere ridotto a semplice cronaca nera: è un monito sul fallimento della società nel proteggere i giovani più vulnerabili. L’analisi dei dispositivi potrebbe rivelare dettagli agghiaccianti, ma i tempi lunghi della giustizia simboleggiano un sistema che arranca, lasciando le vittime in un limbo di sofferenza. Sento il dovere di criticare l’assenza di prevenzione: dove sono i programmi scolastici obbligatori sull’educazione affettiva e digitale? Dov’è l’impegno delle piattaforme tech per monitorare contenuti illeciti in tempo reale?

È tempo di passare dalle condanne a una rete di salvaguardia pronta e immediata, prima che altri telefonini custodiscano silenzi complici. La voce di questa 12enne, unita al gesto coraggioso del genitore, deve diventare il catalizzatore per un cambiamento urgente. Altrimenti, l’orrore si ripeterà. Ancora.