21 Ottobre 2025 - 16:23:54

di Martina Colabianchi

L’Abruzzo è la regione con il calo di nascite più marcato in Italia. Nei primi sette mesi del 2025 i nuovi nati sono diminuiti del 10,2% rispetto allo stesso periodo del 2024.

È la fotografia scattata dal rapporto ‘Istat Natalità e fecondità della popolazione residente – anno 2024‘.

Si tratta della flessione più alta a livello nazionale, seguita dalla Sardegna (-10,1%), entrambe ben oltre la media italiana del -6,3%.

Nel 2024, per l’Abruzzo, la riduzione era stata modesta (-1%), ma nel giro di un anno il quadro si è aggravato. Le cause, sottolinea l’Istat, vanno cercate nella diminuzione della popolazione in età fertile e nella precarietà delle condizioni economiche che scoraggiano la genitorialità.

In Abruzzo il numero medio di figli per donna scende da 1,12 nel 2024 a 1,04 nei primi sette mesi del 2025. Anche la Sardegna conferma livelli tra i più bassi d’Europa, con 0,91 figli per donna nel 2024 e 0,86 nella stima 2025. Entrambe restano sotto la media nazionale (1,13) e lontane dal tasso di sostituzione generazionale.

Il tasso di natalità in Italia è fermo a 6,3 per mille residenti, con 369.944 nascite nel 2024, quasi diecimila in meno rispetto al 2023. Nei primi sette mesi del 2025 i nuovi nati sono 197.956, oltre 13mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2024.

In Abruzzo il contributo delle famiglie straniere, pari al 10,1% dei nuovi nati, non compensa più il calo delle coppie italiane. Quasi un bambino su due (47,5%) nasce da genitori non coniugati, contro una media nazionale del 43,2%. L’età media delle madri al primo figlio raggiunge i 31,9 anni.

Non va comunque bene nel resto d’Italia, dove in generale l’andamento decrescente delle nascite prosegue senza sosta dal 2008, anno nel quale si è registrato il numero massimo di nati vivi degli anni Duemila. Le sole regioni a registrare un aumento sono, secondo i dati provvisori, la Valle d’Aosta (+5,5%) e le province autonome di Bolzano (+1,9%) e di Trento (+0,6%).

Sul rapporto dell’Istat è intervenuto il commissario straordinario per la ricostruzione sisma 2016 Guido Castelli, che ha sottolineato l’importanza di favorire la “restanza” nelle aree interne, soprattutto in quelle colpite dai terremoti. «Se la crisi demografica può e deve essere affrontata come una grande emergenza nazionale di lungo respiro – ha dichiarato Castelli – c’è una riflessione specifica da fare sullo spopolamento di alcune zone della nostra penisola, come quelle dove ci stiamo adoperando per la ricostruzione post-terremoto. In questo caso le politiche di sostegno e di “riparazione”, di natura sociale – il mantenimento dei servizi essenziali alla persona: dalla scuola alla salute – e di natura economica – per mantenere attività economiche, occupazione, e produzione di reddito – possono produrre effetti sul medio periodo. Non dobbiamo abbandonare le aree interne del Paese, anche perché spesso dal presidio umano dei territori montani e collinari, dipende la salvaguardia di quelli litoranei e di valle, per le fragilità idrogeologiche che contraddistinguono l’Italia».

«Le analisi predittive del Cresme con orizzonte 2033 – aggiunge Castelli – ci dicono che la perdita di popolazione nelle aree colpite dal sisma, dove alla crisi demografica si è aggiunta la distruzione materiale di case e imprese, si è fermata, e addirittura mostra un’inversione di tendenza, laddove si sono concentrati gli investimenti più rilevanti per la ricostruzione, soprattutto dove le risorse della ricostruzione materiale si accompagnano a investimenti per le attività sociali, economiche e infrastrutturali. Insomma, la popolazione va dove si può vivere meglio. Se si estende l’orizzonte temporale al 2043, i segnali di contenimento del declino demografico diventano ancora più evidenti –continua il commissario – e si tratta di dati in sintonia con quelli dell’ultimo Rapporto Uncem, sulla montagna italiana, dove si registra un incremento della popolazione residente in tutte le aree montane alpine e in quelle dell’Appennino centrosettentrionale. C’è un modello Appennino centrale che nella ricostruzione post-sisma si propone come strategia efficace di contrasto allo spopolamento delle aree interne, e nel lungo periodo, come fattore lenitivo del perdurante inverno demografico».