28 Ottobre 2025 - 17:46:12
di Redazione
La creatività e la condivisione di esperienze estetiche, dei più svariati generi, da parte degli stessi abitanti assieme ad artisti arrivati da più Paesi nel mondo: prosegue con crescente intensità e altrettanta partecipazione il progetto Arca nei comuni dell’aquilano.
Si sono appena conclusi, con eventi di presentazione i workshop di Amirah Gazel del Costarica ad Ocre, con la realizzazione di cinque coloratissimi murales, a Fontecchio dello statunitense Brian Collier, con la mostra ” La nostra natura personale”, a Poggio Picenze il viaggio musicale dello statunitense Ben Bennet. E’ invece partito a Sant’Eusanio Forconese il laboratorio cinematografico dell’iraniana Rokhsareh Ghaem Maghami.
Il progetto Arca – Arte, Rigenerazioni, Comunità, Abitare, finanziato dai fondi Restart, coinvolge 11 comuni del cratere sismico aquilano, e 14 artisti internazionali con ideazione e direzione artistica di Silvia Di Gregorio, con partner, oltre agli 11 Comuni, il Teatro stabile d’Abruzzo, il Munda, il Maxxi L’ Aquila, l’Università dell’Aquila, The Current -Center for contemporany art, cooperativa AppStartOnlus e Comunità 24 Luglio.
Ad Ocre si è conclusa la residenza Amirah Gazel, pittrice, fotografa, muralista esperta di tecniche espressive e arte comunitaria del Costarica, che ha portato alla realizzazione di cinque murales nelle frazioni di Ocre, uno dei quali realizzato dai bambini nella palestra della scuola, un altro con la collaborazione degli studenti del liceo artistico in visita. Nel segno della continuità è stato restaurato anche il murale fatto sulla parete di un Map nel 2021, quando Amirah Gazel è stata per la prima volta ad Ocre, per il progetto Riabitare con l’arte.
«Murales creati da voi e non da artisti, che esprimono la forza di un popolo attraverso un linguaggio che non è quello verbale – ha detto Gazel -. Ricostruire dopo un terremoto un paese è fondamentale, ma anche l’arte lo è. Se non abbiamo e non diamo accesso alle nostre emozioni non siamo persone. Agire collettivamente è pensare collettivamente. L’obiettivo era promuovere la coesione sociale e il senso di appartenenza, l’identità e la cultura del luogo»
Ha aggiunto il sindaco Giammateo Riocci: «Ho visto dipingere insieme bambini di quattro anni a persone di 90 anni, abitanti di tutte le frazioni riscoprire un senso di appartenenza comune. Ho detto ad Amirah, ‘ti trovo una casa qui ad Ocre e tu ti trasferisci dal Costarica. Aspettiamo il tuo ritorno’. Nell’attesa andremo avanti con altri murales, anche da soli».
A Fontecchio, a palazzo Galli, è stata invece aperta al pubblico “La nostra natura personale”, una mostra multimediale allestita all’esito del laboratorio diretto da Brian Collier, professore di arte e design del Saint Michael’s College di Colchester, nel Vermont, Stati Uniti, direttore e curatore della McCarthy Art Gallery. Arrivato a Fontecchio in collaborazione con Racheel Moore di “The Current: Exhibitions & Education”, partner del progetto Arca. Ospite del Fontecchio international airport dell’artista Todd Thomas Brown.
Una mostra dove assurgono all’attenzione, come fossero opere d’arte di un museo, il palco di un cervo, una foglia, un osso la pelle di un serpente, il guscio di una lumaca, ma anche un tappo o un pacchetto di sigarette. Realizzati anche venti diari per ciascuno dei partecipanti, una mostra fotografica e un video.
Ha spiegato al fianco della sindaca Sabrina Ciancone e di Silvia Di Gregorio, il professor Collier: «In questo mondo contemporaneo è sempre più difficile prestare attenzione, eppure ci sono cose interessanti ovunque, nel mondo reale, concreto che ci circonda, fuori dallo schermo di un telefono cellulare. Avere il gusto dell’esplorare, del guardare anche alle piccole cose, apparentemente insignificanti, che possiamo incontrare lungo un cammino: questo il senso dell’esperienza che ho inteso proporre. Abbiamo prima di tutto parlato tra noi, sul senso di cosa si intende per naturale e artificiale. Un dialogo, non una lezione. Poi passeggiate in paese, nella natura, ad esplorare e cercare oggetti, come in una caccia al tesoro, con un lavoro di catalogazione, per fissare il significato che questi oggetti possono avere per noi, diventati materia infine di un processo creativo».
Ha aggiunto la sindaca Ciancone: «Brian ci ha invitato ad avere ancor più consapevolezza di quello che ci circonda. La mostra resterà aperta anche in futuro, qui a palazzo Galli, che dopo la sua riapertura è diventata sede di tantissime attività e questo ci riempie di soddisfazione, come pure il fatto che Brian ci ha appena confidato che tornerà presto a trovarci per un periodo più lungo».
A Poggio Picenze, con una serata al centro culturale Ex Ora, ospite delle associazioni Frequenze e Poggio Picenze pirate music fest, si è concluso anche il laboratorio di Ben Bennet, arrivato da Philadelphia, Stati Uniti, batterista jazz che ha guadagnato la notorietà internazionale con i suoi concerti performance in cui crea paesaggi uditivi servendosi di strumenti autocostruiti, come tamburi, membrane, idiofoni, con tecniche inusuali come percussione, sfregamento e soffio.
«Abbiamo passeggiato nella parte ancora non ricostruita di Poggio Picenze – ha detto Bennet -, tra le case puntellate, dove c’era tanta vita un tempo, mi raccontavano, e dove si spera a breve tornerà ad esserci. Abbiamo raccolto vecchi barattoli, tubi, contenitori, buste di patatine, stoffe e altri rifiuti trovati lungo il ciglio della strada. E con essi abbiamo ridato voce e risonanze ai ricordi, ai luoghi ora inabitati».
Ben ha dunque coordinato la realizzazione, con i materiali raccolti di varie fogge e colori, strumenti musicali membranofoni a frizione della musica popolare di gran parte dell’Italia meridionale, composto da una membrana in pelle animale o teli,, una canna (solitamente di bambù) e da una camera di risonanza in latta, manche in legno e terracotta. E poi ancora flauti con semplici canne di bambù, didgeridoo con tubi idraulici.
Bennet si è dunque congedato con una performance musicale assieme al saxofonista napoletano Mario Gabola, invitato per l’occasione.
A Sant’Eusanio Forconese è cominciato infine il laboratorio, questa volta cinematografico, di Rokhsareh Ghaem Maghami, regista pluripremiata di origine iraniana.
«C’è un qualcosa che mi lega a questa terra, al vostro destino. Anche l’Iran ha avuto grandi terremoti, nel 1990 di oltre l’ottavo grado di magnitudo, con 30mila morti, nel 2005 i morti sono stati 25mila», ha esordito nell’incontro di presentazione, al fianco della sindaca Deborah Visconti.
Rokhsareh realizzerà un documentario assieme agli abitanti, ma precisa: “non sono qui per spiegare cosa è un documentario, ma per raccontare insieme alcune storie che siano importanti per tutti e ciascuno di voi. Le storie prima di scriverle devono essere scoperte. Gli umani sono gli unici animali che possono raccontarle”.
Sono stati dunque proiettati spezzoni dei suoi documentari, tra cui “Sonita” che ha vinto il gran premio della giuria e il premio del pubblico al Sundance Film Festival 2016. Dedicato alla storia di Sonita Alizadeh, rapper e attivista afghana che si è ribellata, in un paese reazionario e teocratico dove le donne non possono cantare in pubblico, il crimine dei matrimoni forzati come quello che i suoi genitori stavano progettando per lei, venduta per 9.000 euro ad un vecchio. Ora per sua fortuna Sonita, grazie ad un visto per studenti, è fuggita negli Stati Uniti, dove attualmente risiede.
Ha commentato il sindaco Visconti, «Una storia, la sua, molto intensa, che in qualche misura ci accomuna. Credo che questo sia un progetto che favorirà connessioni, e Rokhsareh è una persona che riesce ad entrare nelle vite di ognuno. Domenica siamo state in giro a vedere il territorio, a conoscere gente e lei si è subito immedesimata nella nostra cultura, nel nostro modo di essere. E sono certa che saprà raccontare assieme alle persone coinvolte nel laboratorio una storia significativa e profonda».
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