06 Maggio 2024 - 10:17:25

di Redazione

Tempo di tosatura delle pecore in Abruzzo. In vista della bella stagione col rituale della transumanza verticale che vede spostare in alta quota greggi di pecore e capre, scortate da uomini a cavallo e da un centinaio di cani per difenderle dai furti ma soprattutto da lupi e altri animali selvatici.

Ad Anversa degli Abruzzi, in provincia dell’Aquila, Nunzio Marcelli, il pastore e casaro laureato in Economia che ideò l’iniziativa dal successo globale ‘Adotta una pecora’, oggi è più stanziale, alleva 1.500-1.700 pecore e conduce un agriturismo, ma – nonostante la lunga barba bianca e i 40 anni di attività rurale – non ha perso la voglia di lottare per la difesa della pastorizia e delle micro produzioni, dai formaggi a latte crudo alla mortadella e salumi di pecora.

Il lavoro che fa non è per dormiglioni. “Ogni giorno – racconta – facciamo la prima mungitura alle 4,30 del mattino, per poi ripeterla alle ore 17 del pomeriggio. Ma le pecore non producono quanto le mucche. E le nostre pecore che fanno transumanza verticale producono ancor meno latte delle pecore sarde che fanno transumanza in orizzontale, in piano”.

Tuttavia, dice “da noi i conti tornano perché esportiamo i nostri formaggi negli Stati Uniti e lì spuntiamo prezzi che ripagano i nostri sforzi. Inoltre abbiamo pecore da carne, lavoriamo con la certificazione Igp che è quello dell’Agnello del Centro Italia, ed è una produzione centopercento bio, a km zero. Anche il macello è nel nostro stabilimento. Abbiamo puntato a innovare le proposte di carne di agnello, producendo i salumi di pecora, la carne disseccata di agnello, e sono di autoproduzione sia la mortadella che l’hamburger. Sono queste le nostre idee di trasformazione e modernizzazione delle tipicità del posto”.

Il progetto ‘Adotta una pecora’ prosegue e oggi conta circa 800 famiglie allargate.

“Si tratta di una forma – spiega Nunzio – di coesione tra i consumatori e i produttori e anche ultimamente sta assumendo un valore di aiuto a un tipo di pastorizia. In particolare per quella appenninica che, per una serie di vicende, è in forte arretramento nonostante la bella immagine che ne viene evocata anche per i prodotti regionali. Se non si vuole che rimanga solo un’immagine, la pastorizia, ma diventi anche una sostanza – secondo Marcelli – bisogna incentivare certe forme di scambio tra consumo e produzione”.

Utile a salvaguardare l’economia dell’Appennino, la pastorizia tradizionale ma anche i fattori di biodiversità essenziale, come attestano gli studi che qui sta svolgendo l’università del Piemonte orientale.

“In particolare si mette in evidenza la circolarità di questa attività: il gregge si sposta lì dove c’è l’erba, ma in maniera ciclica. Invece, chi rimane con un allevamento stanziale in un’area, rischia la desertificazione, come è avvenuto in tante aree anche della Palestina e del Medio Oriente. Mentre fin dall’epoca romana si è visto il valore strategico di questa ciclicità degli spostamenti pastorali da un altitudine di 300-400 metri per arrivare a 2.000 metri d’estate. Ma se la storia di questa pratica è vincente, lo deve essere anche il futuro: qui ci sono giovani che fanno scuola di pastorizia, addestramento, e stanno studiando. Ma serve – è l’appello – organizzazione di mercato affinché questi prodotti della pastorizia di montagna siano distinti. Finalmente così saranno pagati per il loro valore”.