Ovazione per il M° Sipari di Pescasseroli per Gala con Ermonela Jaho e Charles Castronovo in Tirana
12 Agosto 2024 - 12:22:08
internazionale che ha affollato il Teatro dell’Opera di Tirana, in ogni
ordine di posto, è stato il gala offerto dal soprano Ermonela Jaho,
insieme al tenore Charles Castronovo, “pensiero d’amore” formato di
proprietà contraddittorie, eccesso di sentire, simbolo, in alto grado di
assenza e di presenza, pienezza e vuotezza, gioia e malinconia, vita e
morte, quale è quello della musica tutta. Abbiamo inteso evocare nel
titolo il penultimo verso dell’aria “Un soffio è la mia voce”, che
interiormente rappresenta maggiormente la cantante, “Io son l’umile
ancella”, poiché nell’analizzare la visione musicale della Jaho ci siamo
voluti affidare al greco physis, un termine infinito che passa dal
soffio, alla natura, per colei che è alla eterna ricerca del nuovo
linguaggio, di un’articolazione di un ritmo personale, di una
espressione e una pronuncia che la rende stilisticamente inconfondibile,
regina di quel Novecento eurocolto, in cui tanto valore è attribuito al
colore, al timbro. Un’idea quella della Jaho che, in un programma
dedicato quasi per intero alla musica francese e a certo verismo
italiano, che guardava ed era a sua volta guardato dai transalpini, è
stata letta e penetrata dal M° Jacopo Sipari di Pescasseroli, alla testa
dell’orchestra dell’Opera. Se la serata è principiata un po’ a sorpresa,
per i toni scelti in seguito, con l’ouverture della Carmen di Georges
Bizet, che naturalmente ha nell’immediato infiammato il pubblico, il
direttore ha poi consegnato all’ovazione del pubblico Ermonela Jaho, che
si è presentata fasciata da uno sfarzoso abito rosa, per dar voce a
Thais con”Je suis seule….Dis moi que je suis belle …” che apre il
secondo atto dell’opera di Jules Massenet. Poi, per noi è stata la Sapho
di “Ces gens que je connais… Pendant un an je fus ta femme”, e ancora
Magda de’ La Rondine, Adriana, con la sua aria “Io son l’umile ancella”,
Violetta, Butterfly.
La Jaho ha tecnica dell’emissione calda e omogenea lungo tutta la gamma,
dell’eguaglianza timbrica insieme con la deliberata varietà dei
colori, che la rendono decisa e sfrontata nella lusinga erotica,
nell’intensità di espressione, nello sguardo, in quella disperazione di
chi è preda del demone Amore, che prende in essa le forme del symbolon,
ovvero del difetto che attinge un eccesso, del basso che si congiunge in
eros iniziatico alto, di colei che è continuamente disfatta da ciò che è
o appare d’essere, in un continuo respingersi e disperarsi,
imprendibile nella sua forza di syn-ballein, che aspira-insieme e si
proietta turbinosa come un gorgo marino, plastica e plasmante. Difficile
da dirigere, da seguire, la Jaho nelle sue interpretazioni che vengono
giocate sull’emozione del personaggio e del momento, nota per nota. Ci è
riuscito il direttore, calamitando il proprio sguardo in quello del
soprano. Ci viene qui incontro Paul Valèry, la sua ostinata armonia e le
esperienze varie e contraddittorie in cui la rinuncia è la condizione di
quella inventio infinita, capace di offrire sensazioni preziose, in cui
misteriosamente “une voluptè” si unifica con “une énergie”. E’ giusto
qui il luogo dell’arte pura, che si dà come forma estrema e nella quale
l’emozione estetica diventa mistica e raggiunge livelli e modi che solo
la musica riesce a realizzare. Se si era andati a teatro per riascoltare
Ermonela Jaho, abbiamo rincontrato al suo fianco uno splendido tenore,
Charles Castronovo, una delle voci più richieste, con il suo invidiabile
appeal timbrico, un considerevole bagaglio tecnico e acuti affilati e
squillanti, che abbiamo potuto apprezzare in ogni sua performance, sia
nelle oasi liriche, nel canto a fior di labbra, nei momenti di grande
suggestione, nello scavo del rapporto con la parola francese, quale
Rodrigo di Le Cid in “O Souverain, o juge, o père” o nei panni di
Werther per il “Pourquoi me réveiller”,in cui Castronovo si è ben
calato in quella abstraktion massenetiana dell’arte, strettamente
apparentata con quella della nostalgia, di cantare l’ “esclusione” dal
mondo, l’impossibilità di stabilire un’empatia fra l’individuo e la vita
circostante. Un programma veramente lungo e impegnativo questo proposto
a Tirana, in cui l’orchestra si è cimentata nel Bacchanale dal Samson et
Dalila di Camille Saint-Saens, con il primo oboe che ha scelto il suono
ciaramellante, per l’intera sezione (seconda parte e corno inglese),
materiale sonoro da scatenamento fisico-erotico di straordinaria
intensità, cui ha messo ordine il direttore, pensando bene alla danza, e
ancora l’intermezzo di Pagliacci pieno di sfumature, con una bacchetta
duttile nel rilevare screziature espressive, l’intermezzo di Cavalleria
rusticana, con l’attraversamento dei singoli momenti della partitura che
richiedono anche sensibilità drammaturgica, per quel che avverrà dopo e
l’intermezzo di Suora Angelica, nelle corde e nel cuore del maestro, che
trasforma in preghiera, in cui pur focalizzandone la lettura sui
singoli dettagli emozionali dei dettagli e della struttura del
fraseggio, riesce a tenere comunque ben teso il filo dello svolgimento
musicale. Finale giocato tra una teatrale interpretazione della Jaho di
“Addio del passato”, Violetta per sempre, un’aria che è divenuta sul
palcoscenico il film dell’intera opera, di un’efficacia espressiva,
delicatezza e cognizione di causa di finissima fattura, sino alle
lacrime, “E lucevan le stelle”, pari addio alla vita di Mario
Cavaradossi, da parte del tenore, in cui il clarinetto di Elton Katroshi
ha introdotto tutti in quell’atmosfera di grande impatto emotivo, per
chiudere con il duetto da Butterfly “Viene la sera” tra sogno di
felicità incantevole e ingannevole, cinico, di elementare
inconsapevolezza, tradotto in orchestra con scorrevolezza, precisione e
leggerezza. La sacralità del momento è tutta della Jaho, la quale ha
baciato il palcoscenico, come se non ci fosse un domani, prima di essere
sommersa dai fiori. I più belli, certamente quelli inattesi del maestro
pianista che la scoprì e le predisse una brillante carriera Robert
Radoja. Tra le lacrime le numerose chiamate al proscenio e due bis.
Charles Castronovo ha scelto “Core ‘ngrato” un classico napoletano
nell’arrangiamento originale del Maestro Luca Gaeta, il quale ha
guardato al nostro luminoso passato strumentale, in particolare dei
legni, ricercando non poche iridescenze timbriche tra le righe, mentre
la Ermonela si è congedata dall’ovazione del suo pubblico con “Un bel dì
vedremo”, ancora Butterfly, forse il grado più alto della serata, per
lei e per il pubblico, assieme a La Traviata, di coinvolgimento
interiore. Ancora standing ovation e festa a sorpresa nella sala blu del
teatro per il compleanno della divina, organizzata dal sovrintendente
“sorella spirituale” Abigeila Voshtina. Ermonela, dopo l’abbraccio del
pubblico, ha smentito quanto rivelato nella nostra precedente
intervista, ovvero di non avere più sogni e di rivolgere tutta se stessa
alle nuove promesse della lirica e ha promesso di debuttare con Daniel
Oren, suo direttore d’elezione, un nuovo ruolo a sorpresa, magari,
chissà proprio al Teatro Verdi di Salerno, dove è stata insuperata
Adriana Lecouvreur, ponendosi nuovamente alla ricerca del “tempo pieno”,
il tempo dell’arte, ove l’istante non è più.