27 Agosto 2024 - 12:24:58
di Redazione
Ci sarà fino al 31 agosto, nella sede dell’ex asilo in viale Duca degli Abruzzi, la mostra collettiva “A cavallo di un manico di scopa. Fiaba, mito, narrazione” di Manuela De Leonardis.
La mostra è inserita nell’ambito di Seminiamo arte IV edizione, organizzata dal Mubaq, museo dei bambini L’Aquila con il coordinamento di Lea Contestabile e Antonio Gasbarrini, il patrocinio del Comune dell’Aquila del Consiglio regionale e della Provincia.
La mostra collettiva, che nel titolo trae ispirazione dalla raccolta di saggi “A cavallo di un manico di scopa” (pubblicata nel 1971) dello storico dell’arte Ernst H. Gombrich, attraverso la declinazione fiaba-mito-narrazione permette un attraversamento trasversale delle diverse sfaccettature della vita dell’essere umano, fornendo indicazioni pedagogiche che sono alla base delle regole dell’esistenza.
In ambito psicoanalitico la fiaba è anche terapeutica, come sostiene Bruno Bettelheim nel saggio Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe “perché il paziente trova le sue proprie soluzioni, meditando su quanto la storia sembra implicare nei suoi riguardi e circa i suoi conflitti interiori in quel momento della sua vita“.
Nel circuito di una narrazione che si ripete rigenerandosi e riattualizzandosi ciclicamente, ecco allora narratori e ascoltatori/adulti e bambini trasformarsi alternativamente nei diversi ruoli, continuando a farsi portavoce di “verità” fagocitate da un immaginario in cui eroine ed eroi sono alle prese con peregrinazioni, incantesimi, creature mitologiche e alieni.
A sostenerlo è Italo Calvino in Fiabe italiane, la raccolta di fiabe provenienti dalla tradizione orale di diverse regioni italiane che egli riunì e trascrisse. Storie che offrono “una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi”.
La favola, il sogno, lo specchio, il mito, il gioco, l’infanzia, la memoria, la narrazione sono anche le “parole chiave” hanno guidato 18 artiste e artisti internazionali – Ali Assaf, Paola Babini, Cimen Sökmensüer Bayburtlu, Marco Bernardi, Massimiliano Camellini, Franco Cenci, Primarosa Cesarini Sforza, Lea Contestabile, Laura De Paolis (LADEPA), Federica D’Ambrosio, Angela Ferrara, Antonella Gandini, Gabriele Lamberti, Claudio Martinez, Ahmed Faizan Naveed, Paola Paganelli, Marina Quaranta, Virginia Ryan – nell’interpretare questo ampio tema, prendendo per mano spettatrici e spettatori di ogni età in un viaggio che è prima di tutto introspettivo.
“La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi. Essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo”, scrive Gianni Rodari. La favola è anche esercizio di emancipazione dai luoghi comuni, dalla pericolosità di un pensiero ottuso, indottrinato e prevedibile che contempla un improbabile lieto fine. Dal mito alla favola: seguendo un itinerario che parte dall’antichità e travalica confini temporali e geografici, troviamo subito il leone e il topolino di Esopo modellati da Angela Ferrara in terracotta smaltata come metafora dell’amicizia tra il piccolo e il grande, così come le sirene di Virginia Ryan migrate nell’iconografia di Mami Wata, simbolo dell’archetipo femminile al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico e l’uovo cosmico di Federica D’Ambrosio che trae ispirazione dalla creazione dell’universo secondo una tradizione induista. La narrazione è una trasmissione generazionale affidata tradizionalmente agli anziani, custodi di un patrimonio culturale e identitario che si tramanda ai più giovani.
Nelle fotografie di Ahmed Faizan Naveed i loro ritratti sono circondati dagli alberi in plexiglass colorato dell’installazione di Paola Babini: alberi che affondano le radici nella storia passata con le chiome che svettano sui tronchi, rivolti verso il cielo come antenne che si propagano verso il domani. Al rovesciamento dei ruoli con l’abbattimento degli stereotipi di genere ci pensa, invece, Franco Cenci con la rilettura della favola di Cappuccetto Rosso non più bambina ingenua, vittima delle voraci attenzioni del lupo, ma lei stessa soccorritrice dell’animale “cattivo” minacciato dai cacciatori.
L’eco di questa favola, insieme a Le Scarpette Rosse e Barbablù – esemplificazioni della lotta tra il bene e il male – affiora anche nell’installazione di Antonella Gandini con acquarelli e fotografie di matrice onirico-surreale in cui si assiste alla restituzione di potere alle figure femminili per lo più descritte come fragili, indifese e insicure. Dedicate al tema “deposizione/fiaba” le sculture di Marina Quaranta che mette in relazione la raffigurazione della Principessa sul pisello, Biancaneve e La bella addormentata con l’iconografia del monumento funerario: qui lo slittamento dal mondo reale a quello della fiaba lascia una porta aperta alla rinascita, alla guarigione, al perdono.
Fate e creature mitologiche popolano le coloratissime e poetiche opere tessili di Cimen Sökmensüer Bayburtlu in cui le figure ricamate sembrano affiorare dal subconscio e con leggiadria trasformano le paure in momenti di gioia e viceversa. Narrazioni complesse, evidentemente, che incoraggiano nuove possibilità nella percezione di storie e favole tradizionali attraverso un’imprescindibile presa di coscienza da parte del soggetto.
L’ambiguità della rappresentazione, in ogni caso, pone di fronte a molteplici considerazioni e quesiti, partendo dalla consapevolezza che il racconto non è mai così immediato diversamente dall’apparenza. L’immaginario popolare è fonte d’ispirazione anche per Gabriele Lamberti con la sua pittura di velature e sovrapposizioni in cui l’ironia è strumento di negoziazione di meraviglia e crudeltà, divertimento e serietà. La sua palette di colori vibranti si ricollega, in parte, a quella delle illustrazioni di Laura De Paolis (LADEPA) che indaga con grande sensibilità il legame tra l’essere umano e la natura, in un dialogo serrato con il proprio mondo interiore.
Magia, incantesimo e metamorfosi sono altri elementi ricorrenti nell’affrontare mito e fiaba: nei fotomontaggi di Claudio Martinez si parla di un “ipotetico incontro” in cui l’autore, nell’autorappresentazione all’interno di paesaggi improbabili e dalle atmosfere oniriche, diventa presenza metaforica circondato com’è da tartarughe preistoriche e gigantesche lumache, lui stesso nei panni di un moderno centauro.
Al mito della creazione, nella sua deriva di abnorme e mostruoso, ci riportano le fotografie in bianco e nero di Massimiliano Camellini. In questo viaggio fotografico nei laboratori degli effetti speciali per il cinema, dove artisti-scienziati ambiscono a ricreare la vita riproducendo l’uomo dalla materia inanimata, si consuma un’ossessione che dalla notte dei tempi accompagna l’evoluzione dell’essere umano. Benché linguaggi, tecnica e materiali siano profondamenti diversi, c’è un vero e proprio fil rouge tra le immagini fotografiche di Camellini e le opere tessili di Paola Paganelli.