15 Febbraio 2025 - 11:39:13

di Tommaso Cotellessa

Negli ultimi giorni si discute animatamente della possibile riforma che porterebbe i medici di famiglia a diventare dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, con un orario di 38 ore settimanali e l’obbligo di prestare servizio nelle future Case di Comunità. Tuttavia, la Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale (Fimmg), il principale sindacato di categoria, si oppone fermamente a questa prospettiva, ritenendola dannosa per l’assistenza ai cittadini.

A chiarire la posizione del sindacato è stato il dottor Vito Albano, segretario provinciale Fimmg dell’Aquila.

Secondo il dott. Albano, la resistenza della categoria non è legata né all’orario di lavoro né al trattamento economico. Anzi, attualmente – sottolinea Albano – un medico di famiglia lavora mediamente 50 ore settimanali, ben oltre le 38 ore previste dalla riforma. Inoltre, il passaggio alla dipendenza migliorerebbe le condizioni economiche, garantendo ferie, malattia, tredicesima e TFR, e sollevando i medici dai costi di gestione degli studi. Ma allora perché questa opposizione?

La principale preoccupazione, avanzata dal sindacato, riguarda la perdita del rapporto fiduciario tra medico e paziente. Oggi il cittadino sceglie il proprio medico di famiglia, instaurando con lui un rapporto continuativo e di fiducia che dura negli anni. Con la dipendenza, invece, il medico lavorerebbe a turni nelle Case di Comunità, rendendo impossibile garantire la continuità assistenziale e le visite domiciliari, fondamentali per i pazienti più fragili. Inoltre, la riforma penalizzerebbe le aree rurali e i piccoli centri, dove la capillarità dell’assistenza territoriale è essenziale. «In questi contesti – spiega Albano – il medico deve poter organizzare il proprio lavoro con flessibilità, adattandosi alle esigenze della popolazione».

Non si tratta di una contrarietà all’istituzione delle Case di Comunità, chiarisce il segretario della Fimmg. Infatti, il nuovo Accordo Collettivo Nazionale (ACN), in vigore da aprile 2024, prevede già la collaborazione dei medici di famiglia in queste strutture, con un numero di ore proporzionato al numero di pazienti assistiti. «Abbiamo già trovato una soluzione normativa nel nostro ACN, che dimostra la nostra volontà di collaborazione: la dipendenza non è necessaria».

Oltre agli aspetti organizzativi, la riforma avrebbe un impatto economico significativo. «Oggi la ASL paga circa 75-85 euro ad assistito all’anno, cifra che copre tutte le spese del medico. Con la dipendenza, invece, lo Stato dovrebbe farsi carico di stipendi, ferie, malattia, TFR e strutture, con un costo stimato di almeno 5 miliardi di euro».

Anche all’interno della maggioranza di governo permangono dubbi sulla fattibilità della riforma. Secondo quanto riportato dalla stampa, la stessa premier Giorgia Meloni avrebbe espresso perplessità sia per i costi elevati, sia per il rischio di una forte impopolarità tra i cittadini.

La FIMMG auspica che il governo apra un confronto con i medici di famiglia prima di prendere decisioni che potrebbero compromettere la qualità dell’assistenza. «Non è una questione di privilegi o di resistenze corporative – conclude Albano – ma di garantire ai cittadini un servizio efficiente, capillare e basato sulla fiducia. Siamo disponibili al dialogo, ma se necessario siamo pronti a difendere il nostro modello di assistenza».