02 Agosto 2025 - 09:37:07
di Tommaso Cotellessa
Il titolo di L’Aquila Capitale italiana della Cultura 2026 attira, e di certo continuerà ad attirare, un’attenzione che supera i confini regionali e auspicabilmente anche quelli nazionali. Ne eravamo tutti consapevoli e per queto l’intera città, a prescindere dal colore politico, dalle idee e da qualsivoglia distinzione, esultò alla notizia della nomina a vantaggio del capoluogo abruzzese, considerando il titolo come un’importante e prestigiosa vetrina per la città.
Ma come sempre quando ci si espone, appunto quando ci si mette in vetrina, le attenzioni che vengono raccolte non sono sempre quelle che si auspicano. I riflettori puntati passano infatti al setaccio la bellezza ma anche le contraddizioni di chi si mette in mostra.
Non ancora Capitale italiana della Cultura ma in procinto di venir incoronata come tale, la città dell’Aquila ha già attirato l’attenzione di una delle più importanti testate a livello mondiale: il The Economist ha infatti dedicato un articolo alla città dell’Aquila alla sua nomina a capitale della Cultura, ma anche alla ricostruzione e alle contraddizioni contenute in essa.
L’articolo infatti, (che è possibile leggere integralmente cliccando qui) ripercorrendo rapidamente il processo di resilienza e rinascita affrontato dalla città dell’Aquila, affronta i nodi più complessi, tentando di delineare un’operazione verità sullo stato dell’arte della ricostruzione, ed in particolare della ricostruzione culturale, del capoluogo abruzzese.
In un duro passaggio si parla dell’Aquila come un vero e proprio «symbol of institutional failure (simbolo del fallimento istituzionale)», in quanto a 16 anni dal sisma del 2009 la città abruzzese resta ancora oggi un luogo di gru, impalcature e bagni mobili da cantiere.
In particolare, pur riconoscendo il prestigio del sistema culturale abruzzese, nell’articolo vengono evidenziate alcune incongruenze in merito alla nomina di Capitale della Cultura conferita ad una città in cui ancora oggi circa 4.000 studenti dell’Aquila si formano all’interno di Moduli ad Uso Scolastico Provvisori. Una questione, quest’ultima più volte salita alla ribalta del dibattito cittadino anche grazie alle mobilitazioni di numerosi comitati di cittadini.
«Ironicamente, per una città che sta per diventare capitale culturale d’Italia, – si legge nell’articolo – quasi 4.000 studenti dell’Aquila frequentano ancora “moduli provvisori ad uso scolastico” a uno o due piani. Questi sono palesemente inadatti a una città dove le temperature variano da quasi 40 °C in estate a ben al di sotto di 0 °C»
Inoltre nell’articolo viene affrontata anche la questione del Forte Spagnolo, un tema quasi dimenticato dal dibattito locale. Quest’ultimo viene preso dal The Economist come il simbolo di una ricostruzione partita ma ancora incompiuta, una situazione dunque che invita a darsi ancora da fare prima di cantar vittoria.
«Tra gli edifici in attesa di essere completamente restaurati c’è l’imponente e imponente castello dell’Aquila, costruito dai sovrani spagnoli dell’Italia meridionale nel XVI secolo. – scrive la redazione del The Economist – Un grande cartello sul ponte che attraversa il fossato recita “Lavori in corso: ci scusiamo”. Lo stesso si potrebbe dire di tutta la triste e coraggiosa L’Aquila».
Quella offerta è dunque una narrazione decisamente differente da quella del Modello L’Aquila che spesso si sente.
Le reazione della città
Tra i primi a segnalare e commentare l’articolo del The Economist è stato il professore ordinario dell’Università degli Studi dell’Aquila, Marco Valenti, tra i candidati all’ultima tornata elettorale per l’elezione del rettore dell’ateneo aquilano. Valenti descrive l’articolo come «Un’impietosa analisi sullo stato della ricostruzione aquilana dopo16 anni». Per poi sottolineare «Il paradosso delle scuole nei moduli provvisori per una capitale della cultura (e meno male che l’editorialista non ha focalizzato la mancata ricostruzione di edifici universitari storici e fondamentali nell’assetto urbano). Il centro città in molte zone ricostruito quanto a patrimonio edilizio privato, ma poco (ri)abitato e con zone ancora puntellate. E un “so sorry” finale decisamente poco ottimistico». Per il professore si tratta dunque di «un’analisi severa, che qualcuno riterrà parziale».
Sul tema è intervenuto anche Massimo Prosperococco, uno degli esponenti più rappresentativi del Comitato Scuole Sicure, protagonista di numerose mobilitazioni per la ricostruzione delle scuole aquilane. Per Prosperoccoco si tratta di «un’analisi impietosa. Senza sconti, senza filtri, senza quella retorica vuota che per troppo tempo ha coperto le mancanze. Un’analisi che, in poche righe, mette a nudo tutte le contraddizioni di una città che nel 2026 sarà “Capitale italiana della Cultura” ma che ancora oggi, a distanza di quasi 17 anni dal terremoto, non riesce nemmeno a garantire scuole vere ai propri bambini».
Ma l’attivista si spinge oltre richiamando l’attenzione anche sull’impatto che questa lettura dovrebbe avere in città «L’Aquila è una città coraggiosa, certo. Ma è anche una città stanca, ferita, tradita. E The Economist, da fuori, lo ha visto meglio di molti che stanno dentro. Serve una scossa. Non bastano più le celebrazioni, i titoli, i riconoscimenti formali. Serve una ricostruzione reale. E deve iniziare dalle scuole. Dalla cultura, quella vera».