29 Agosto 2025 - 14:42:21

di Tommaso Cotellessa

A Porta Santa chiusa è il momento di fermarsi un attimo e provare a condurre qualche riflessione un po’ più ruvida sulle giornate che sono appena trascorse nel capoluogo abruzzese.

La 731ª edizione della Perdonanza Celestiniana è stata caratterizzata da un sentito desiderio di pace. Un desiderio che, prima ancora che dall’alto, si è mosso dal basso. Commentatori, opinionisti e cittadini non hanno potuto evitare di affrontare il tema del massacro di Gaza e del conflitto russo-ucraino, muovendo così una costante richiesta ai propri rappresentanti politici di esporsi e dire la propria sui conflitti attualmente in corso. A rendere ancora più urgente la diffusione di un messaggio di pace incarnato nella stretta attualità quotidiana è stata anche l’infelice coincidenza di un attacco devastante su Kiev proprio nel giorno di apertura della Porta Santa: 598 droni, 31 missili, 19 morti civili e decine di feriti.

Così l’antico rito sancito da Papa Celestino V nel lontano 1294 e donato alla città dell’Aquila, da invito alla rinascita e alla riconciliazione, è divenuto eco di pace per il mondo intero. È bene però ricordare che questa eco, propagatasi dal capoluogo abruzzese, si nutre di simboli e gesti: il Fuoco del Morrone, il Tripode della Pace, la Porta Santa. Segni che richiamano a un perdono da interiorizzare, da fare proprio e poi tradurre in scelte concrete di vita.
Non ci si può aspettare dalla Perdonanza altro che questo straordinario e rivoluzionario risultato. Ma se non si crede nel valore dei segni e dei gesti, allora nulla ha senso: diventa inutile prendervi parte e parlarne.

Per questo mi ha sorpreso la dichiarazione del presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, da sempre sostenitore della Perdonanza, presente in prima linea nell’elogiare il messaggio di Celestino e nel partecipare alle funzioni pubbliche. Egli ha infatti definito la decisione di alcuni consiglieri comunali e regionali di opposizione, che hanno portato nel Corteo della Bolla le bandiere della pace e della Palestina, come “un teatro”.

Ma come si può definire un teatro un gesto di tale portata? Se quello fosse davvero un teatro, allora lo sarebbero anche il Corteo della Bolla, l’indulgenza, le parole di pace e di perdono. Se i gesti non servono e non si crede nei simboli l’intera Perdonanza diventa un’inutile messa in scena. Io non credo affatto che sia così.

Il gesto dei consiglieri ha raccolto un appello che anche da queste pagine avevamo lanciato. Il Corteo della Bolla, in quanto rituale civile, è un momento dall’alto valore pubblico: non vi marciano soltanto figuranti, ma la città intera, rappresentata dalle associazioni sportive, dalle realtà sociali attive sul territorio, dai diversi livelli istituzionali. Il fatto stesso che la Dama della Croce, il Giovin Signore e la Dama della Bolla vengano scelti richiamandosi a messag attuali dimostra che la Perdonanza vuole ancora parlare alla città e al mondo. Portare la bandiera della pace all’interno del Corteo non era una scelta da compiere ma un dovere a cui assurgere e dispiegare la bandiera della Palestina un simbolo di vicinanza e solidarietà per un popolo oppresso troppo spesso dimenticato.

È allora davvero singolare definire “teatro” il tentativo di trasformare il corteo in uno strumento di pace, in un mezzo di riconciliazione non solo proclamata, ma incarnata nel presente e nello scenario internazionale.

Viene allora da chiedersi cosa si intenda davvero per Perdonanza Celestiniana: se è un dono da valorizzare e fare proprio, allora occorre lasciarsi riconciliare e farsi operatori di pace con ogni mezzo, nel nome di Celestino, passando per una Porta che richiama verso l’alto e apre a un cammino di speranza.
Se invece è solo un teatro, caro Marsilio, allora conviene che ognuno continui a recitare la propria parte.