12 Settembre 2025 - 19:37:26

di Redazione

Il 14 settembre 2015 un sussurro cosmico raggiunse la Terra, portando con sé la firma della collisione tra due buchi neri avvenuta 1,3 miliardi di anni fa. Per la prima volta l’umanità riuscì a captare direttamente le onde gravitazionali, le vibrazioni dello spazio-tempo predette da Albert Einstein un secolo prima.

Quel segnale aprì una nuova era per l’astrofisica. Accanto alla luce, ai raggi cosmici e ai neutrini, gli scienziati ottennero un nuovo messaggero con cui esplorare l’Universo: le onde gravitazionali. La scoperta valse il Nobel per la Fisica 2017 a Rainer Weiss, Kip Thorne e Barry Barish.

«Dieci anni fa abbiamo percepito per la prima volta le vibrazioni dello spazio-tempo, aprendo un nuovo modo di studiare l’Universo e gli oggetti più affascinanti che vi dimorano, i buchi neri e le stelle di neutroni» ricorda Eugenio Coccia, già rettore del Gran Sasso Science Institute (GSSI). «Per me fu un’emozione straordinaria, avendo lavorato in questo campo per quasi quarant’anni».

Marica Branchesi, astrofisica del GSSI e figura di riferimento nella collaborazione internazionale, sottolinea la portata storica: «Oggi ci troviamo in una posizione simile a quella di Galileo quando puntò per la prima volta il telescopio verso il cielo. Abbiamo aperto una nuova finestra sull’Universo, ma il viaggio è solo all’inizio». Nei prossimi anni, con strumenti di nuova generazione come l’Einstein Telescope, sarà possibile ascoltare onde gravitazionali provenienti da tutto il cosmo.

Dal 2015 a oggi la rete globale LIGO–Virgo–KAGRA ha registrato circa 300 fusioni di buchi neri, grazie a rivelatori sempre più sofisticati, capaci di cogliere variazioni dello spazio-tempo inferiori a un decimillesimo della larghezza di un protone.

L’ultima scoperta, annunciata a gennaio 2025, porta la sigla GW250114. Si tratta della fusione di due buchi neri a oltre un miliardo di anni luce da noi, un evento molto simile al primo rilevato dieci anni fa ma captato oggi con una precisione tre volte superiore. La potenza del segnale – 80 volte sopra il rumore di fondo – ha permesso di caratterizzare il “suono” del nuovo buco nero come mai prima d’ora.

Grazie a GW250114, il team internazionale LVK è riuscito a testare con grande accuratezza il teorema dell’area dei buchi neri, formulato da Stephen Hawking e Jacob Bekenstein: l’area complessiva di un buco nero non può diminuire, così come non può calare l’entropia dell’Universo.

Le misure parlano chiaro: i due buchi neri iniziali avevano un’area totale di 240.000 km², mentre il buco nero finale ha raggiunto circa 400.000 km². Una crescita netta, che conferma la previsione teorica e lega la fisica dei buchi neri alle leggi fondamentali della termodinamica.

«Un buco nero appena nato vibra come una campana», spiegano i ricercatori. Finora si era potuto captare soltanto la frequenza fondamentale di quel “rintocco”. Questa volta, invece, i detector hanno registrato anche un overtone, un’armonia più sottile ma prevista dai modelli della relatività generale, confermandone ancora una volta la validità.

L’osservazione di GW250114 e i risultati che ne derivano sono il frutto di dieci anni di sforzi tecnologici e teorici, ma rappresentano solo l’inizio. Con i rivelatori di prossima generazione, l’umanità potrà “ascoltare” lo spazio-tempo in modi oggi impensabili, gettando nuova luce non solo sull’astrofisica dei buchi neri e delle stelle di neutroni, ma anche sulla fisica fondamentale e sulla cosmologia.

Dieci anni dopo quel primo segnale, l’Universo continua a suonare. Sta a noi affinare l’udito per comprenderne la musica.