22 Settembre 2025 - 16:55:33

di Tommaso Cotellessa

L a storia, con le sue tensioni e i suoi rancori, segna da sempre la vita delle comunità e dei singoli. Lo scenario internazionale di questi giorni ce lo ricorda in maniera drammatica e prepotente. Nascere in un luogo e in un determinato tempo, che si perde fra gli eoni della storia, imprime un marchio indelebile su ogni destino. Non è fatalismo, né una lettura necessitaristica degli eventi: è realismo. Quel realismo che rende consapevoli delle diseguaglianze prodotte dalla storia e dalla geografia, dalle decisioni di popoli su altri popoli, di governi sugli stessi uomini che li hanno generati.

Questa consapevolezza invita a guardare la storia con gli occhi degli altri, a tentare di comprendere il mondo attraverso la mente e il cuore dell’essere umano chiamato a fare i conti con la propria vicenda. È un esperimento vertiginoso, che allontana da giudizi affrettati e condanne ostinate, e spinge invece verso una ricerca di comprensione che può sfociare in due direzioni: un distacco quasi contemplativo, oppure l’impegno della scelta.

Perché ci sono momenti in cui la storia si presenta tutta insieme, in un solo attimo. E in quello squarcio l’unica possibilità è scegliere. Scegliere da che parte stare, sposare una causa, con piccoli o grandi gesti: non importa se dettati da un radicato ideale, da un impulso del momento o da un entusiasmo condiviso. Ciò che resta, ieri come oggi, sono le opere.

Ottantadue anni fa nove ragazzi, che oggi potremmo immaginare camminare stancamente tra giornali e cantieri del nostro capoluogo, fecero la loro scelta: salire in montagna. Schierarsi contro un regime, dalla parte della libertà di una nazione, contro l’oppressione di un esercito straniero. La loro scelta fu ripagata con la fucilazione: un eccidio che spense le vite di Anteo Alleva, Pio Bertolini, Francesco Colaiuda, Fernando Della Torre, Berardino Di Mario, Bruno D’Inzillo, Carmine Mancini, Sante Marchetti e Giorgio Scimia.

Il loro sacrificio, però, non appartiene solo al passato: resta eloquente nel presente. Perché la scelta rende eterni, oltrepassa il tempo. Ogni volta che la storia chiama tutta insieme, ci pone la stessa domanda: soccombere o scegliere? Senza trionfalismi, ma facendo appello alla coscienza.

Quella scelta compiuta e ricordata invita ad interrogativi profondi e ficcanti: perché quei giovani hanno deciso di rischiare? Perché, pur consapevoli del pericolo, hanno scelto di opporsi? Perché hanno accettato una decisione che li avrebbe condotti alla morte? Interrogativi che, mentre li rivolgiamo a loro, inducono a guardarsi dentro nel tentativo di dare una risposta degna da parte nostra.

Se penso a cosa avrei fatto io, atterrisco e mi ritraggo. La risposta possono darcela solo loro. Ma loro, oggi, sono nel vento.

A noi non resta che scegliere, quando arriva il momento dell’appello: uno sciopero, un ordine del giorno, un corteo, un invito a esprimersi. Sono i fatti, le opere, a dire chi siamo.

E mentre certezze, principi e valori crollano, in questa società che si fa sempre più forte e meno consapevole, non resta che ascoltare il vento, quel vento che porta ancora le voci di quei nove ragazzi. L’invito allora non è tanto all’azione ma piuttosto è quello di lasciarsi accarezzare dalla frizzante aria aquilana, quella stessa che avvolse le carni dei novi giovinetti, chiudere gli occhi, ripensare a quella scelta e pronunciare una parola sola: grazie.